Haken – Fauna

Anno: 2023
Etichetta: Inside Out
Voto: 9/10

Classificazione: 4.5 su 5.

Dopo poco più di una decade di carriera ed una sequenza di album assolutamente fantastici gli Haken si sono ormai guadagnati il posto tra una delle più talentuose ed ammirate formazioni del panorama progressive mondiale. La band sì è costantemente evoluta a livello di sound partendo da quel duo fantastico di album, Aquarius e Visions che per quanto belli comunque richiamavano palesemente le sonorità dei Dream Theater, fino a spostarsi su lidi più personali con il capolavoro The Mountain e a seguire con la parentesi fortemente improntata sul djent della coppia Vector e Virus. A questo giro ammetto che la curiosità per un nuovo album era ancora maggiore del solito dato che la band si è da poco trovata a far fronte ad un importante cambio di line-up con l’abbandono dello storico tastierista Diego Tejeida e il ritorno in formazione di Peter Jones tastierista che aveva militato nella band prima della release del loro full-lenght di debutto del 2010.

Fauna è l’ennesimo concept album della band che però stavolta non segue una trama lineare ma bensì tutte le composizioni si aggirano attorno ad una tematica, in questo caso quella del mondo animale, con l’intento di esplorare attraverso di esso anche i complessi labirinti dell’interiorità umana. Così ogni brano presenta un animale come protagonista con l’intento di creare un parallelismo col mondo degli esseri umani dal punto di vista di svariati aspetti (sociali, relazionali, emotivi…). Taurus per esempio analizza la follia del Toro in una corrida e lo contrappone al mondo caotico in cui viviamo, al fenomeno dell’immigrazione e di tutti quei popoli costretti a lasciare le proprie terre per via della guerra. Nightingale parla del processo di scrittura e composizione dal punto di vista artistico, mentre Lovebite dei “morsi” di una relazione tossica come fossero quelli di un ragno velenoso. Infine Eyes Of Ebony si ispira alla recente estinzione del rinoceronte bianco ma vuole sopratutto essere un sentito tributo da parte del chitarrista Richard Henshell al padre appena scomparso associando quindi l’estinzione di una specie nel mondo animale alla perdita di una persona cara nella propria vita. Un concept tutto da vivere ed analizzare quindi dal punto di vista dei testi, mentre da punto di vista squisitamente musicale la band inglese riesce a regalarci uno degli album più eclettici ed ispirati della loro carriera. Le basi djent di Vector e Virus vengono mantenute ma il sound stavolta è enormemente più ricco, intricato ed avventuroso, potendo paragonare l’ascolto di questo platter all’esperienza di perdersi all’interno di una fauna selvatica in cui ogni sprazzo di vita umana è perduta e rimane solo l’incertezza del mondo animale. L’ecletticità di questo disco può essere riflesso da tre brani cardine che mettono ben in chiaro quanto in questo lavoro si sprazzi su territori sempre diversi ed inaspettati; Taurus che con le sue chitarre djent riporta quel lato heavy degli ultimi due platter in studio della band, The Alphabet Of Me che costruisce un brano incredibilmente inusuale per gli Haken partendo da un beat elettronico (ai più attenti ascoltatori non potrà sfuggire tra l’altro la somiglianza con quello della celebre California Gurls di Katy Perry) che viene sviluppato in un pezzo accattivante ed avventuroso, oppure Lovebite che risulta essere davvero catchy e diretta oltre che di brevissima durata per i canoni della band, rendendo questo un altro brano piuttosto inusuale per la band di Ross Jennings e compagni. Allo stesso tempo il six-piece britannico sviscera il suo lato più sperimentale e progressivo al massimo, con poliritmie, tempi dispari, arrangiamenti iper-complessi in pezzi come le bellissime Nightingale, Sempiternal Beings, Beneath The White Rainbow e su tutte la straordinaria Elephants Never Forget che mette in mostra davvero quanto questo lavoro possa essere sperimentale e fuori di testa, per un brano che recupera tratti della teatralità, dell’esuberanza e anche dei barocchismi presenti in alcune sezioni di Visions. Il pezzo suona stravagante, complesso, intricato… c’è una sezione in particolare tanto per mettere bene le cose in chiaro che ci ricorda tantissimo la particolare proposta dei Native Construct (chi li conosce saprà esattamente a cosa mi riferisco), ma il pezzo in se è una grandiosa epopea di oltre undici minuti che mette a nudo tutta la grandezza e l’ispirazione di questa formazione. Parlando dei singoli strumenti non si possono non citare le tastiere che non sono più sempre in primo piano come accadeva ai tempi dei primissimi album con sezioni virtuose e sinfonie epiche che si adattavano benissimo al sound di quei dischi, ma piuttosto in una creazione così cerebrale e intricata aggiungono quel tocco di classe talvolta prendendosi la scena con dei break di pianoforte o con suoni più elettronici come nella già citata The Alphabet Of Me, e in altre svolgendo un ruolo più minimale ma sempre preziosissimo. Ross Jennings in questo album stupisce davvero con una prestazione encomiabile e varia riuscendo in alcuni casi ad offrire dei passaggi vocali iper-veloci come accade in una particolare sezione sempre di The Alphabet Of Me, mentre il resto della band stupisce regalandoci un platter in cui si ha la sensazione che ogni musicista voglia spingersi oltre quanto fatto in passato sia dal punto di vista tecnico ed individuale sia dal punto di vista dell’ambizione nella creazione della loro arte. Già, perché questo disco è veramente ambizioso, anche per una band come gli Haken che ha sempre fatto sì di non ripetersi mai e di cercare di alzare l’asticella ad ogni nuova uscita in termini di tecnica, personalità e maturità compositiva e nel complesso troviamo che con Fauna la band sia riuscita ad evolversi e migliorarsi in molti di questi aspetti.

In conclusione con questo nuovo concept album Fauna gli Haken si dimostrano ancora una volta di essere una di quelle band imprescindibili per gli amanti del genere progressive. Il sound tipicamente djent e pesante degli ultimi due album è stato ampliato per costruire un qualcosa di più eterogeneo, vario, complesso ed intricato per un platter che presenta una tracklist pressoché perfetta, dove forse solo Islands In The Clouds a nostro parere continua a non convincerci dopo ripetuti ascolti, non offrendo spunti nuovi che possano aggiungere quel qualcosa in più al lavoro. Per il resto, può anche essere vero che ultimamente la band talvolta tende a perdersi per strada il lato più emotivo dei loro brani, quel lato che rese così speciali ai tempi pezzi quali Celestial Elixir, Visions, Aquarius o Because It’s There, ma è altrettanto innegabile che il sestetto non ci appariva così incredibilmente ispirato forse dai tempi di The Mountain. Se i Dream Theater negli anni 90′ e duemila hanno raccolto i semi di quanto fatto da band quali Genesis, King Crimson e Gentle Giant negli anni 70′, ponendosi come un nuovo faro per il movimento progressive di quegli anni, ecco che gli Haken a loro volta ed ormai da parecchi anni, hanno saputo raccogliere a loro volta l’eredità di quanto di grande abbia fatto la suddetta band Newyorkese guidata da John Petrucci (e non solo loro ovviamente), riuscendo nella difficile arte di creare della musica che sia personale, ispirata e che possa a sua volta ispirare generazioni su generazioni di “progsters” in futuro. Giù il cappello quindi per questi ragazzi.

Tracklist:
1. Taurus
2. Nightingale
3. The Alphabet Of Me
4. Sempiternal Beings
5. Beneath The White Rainbow
6. Island In The Clouds
7. Lovebite
8. Elephants Never Forget
9. Eyes Of Ebony

Line-up:
Ross Jennings – Voce
Charlie Griffiths – Chitarra
Richard Henshall – Chitarre, tastiere
Conner Green – Basso
Peter Jones- Tastiere
Raymond Hearne – Batteria

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