Da “consigliato assolutamente” a “era l’ora che qualcuno facesse chiarezza e mettesse un po’ d’ordine in un genere che, in Italia, non ha mai avuto le attenzioni dovute“. E ancora, da “libro piacevole e interessante, scritto in modo originale” a “riferimenti più che apprezzabili e alcune chicche da veri intenditori“. Sono alcuni dei commenti online di appassionati che hanno letto e apprezzato Come il metal italiano è diventato se stesso, volume (autoprodotto) scritto da Francesco Crisanti, Marco Crisanti, Matteo Pacini e Roberto Ursino.
Un saggio di 138 pagine (copertina flessibile, 20,70 euro) che custodisce recensioni, riflessioni sulla musica estrema di casa nostra dalle origini ad oggi (non a caso il sottotitolo recita: Cinquanta dischi per conoscere il metal italiano). Gli autori, che curano il blog Metal Mirror, hanno ripercorso ogni tappa e difficoltà del genere derivante dall’hard rock. Ma soprattutto hanno selezionato cinquanta album dalle origini al 2022 per conoscere al meglio questo fenomeno estremo spesso dimenticato, o anche solo sottovalutato, nel Belpaese.
Una classifica unica che non contempla esclusivamente dischi storici, ma seleziona band contemporanee capaci di alimentare, in modo concreto, il movimento nazionale e non. Nomi del calibro di Strana Officina, Sadist, Vanadium, Extrema, Death SS, Paul Chain, Rhapsody, Fiaba, Bulldozer, Necrodeath più altri quaranta. Ne parliamo con uno degli autori, Roberto Ursino, che spiega la genesi del volume. “Il progetto è nato poco più di un anno fa quando Francesco ci ha illustrato un’idea tanto semplice quanto sfidante e non banale: scrivere qualcosa di più, rispetto a quanto già esistente, sul metal italiano. L’esigenza nasceva da una constatazione, e cioè che i libri più conosciuti sul mercato avevano uno sguardo, secondo lui, un po’ circoscritto o marcatamente settoriale. Nel senso che o abbracciavano un ristretto arco temporale o si concentravano su singole band o, ancora, su determinati filoni/movimenti sviluppatisi all’interno del metal nostrano“.
Così l’ambizione di Francesco, condivisa con Marco, Matteo e lo stesso Roberto, è stata quella di abbracciare un arco temporale assai più vasto. “Un lasso di tempo che poi è diventato quarantennale – riprende Ursino –, ma soprattutto abbiamo scandagliato cosa il metal italiano era diventato, che tipo di peculiarità incarnasse rispetto a quello estero e cosa era stato capace di offrire in tutte le sue pieghe. È così che, con le band e gli album selezionati, siamo riusciti a trattare praticamente tutti i sottogeneri. E il terreno toccato si è dimostrato ricco e fecondo di spunti, ben oltre le nostre più rosee aspettative“.
Un lavoro collettivo che non è stato così semplice. “Ci siamo basati sulla ricerca delle fonti, scritte e sul web, e sull’ascolto, paziente e metodico, di una marea di album per capire innanzitutto da dove partire. E poi su come andare avanti. Dico solo che il plateau, già oggetto di previa selezione, comprendeva ben oltre le cento band finali, cui se ne sono aggiunte altre durante la lavorazione dell’opera. Da lì, scendere a cinquanta è stato da un lato divertente e stimolante, dall’altro una fatica notevole, condita da annessi sensi di colpa“.
Quindi Ursino entra nel dettaglio della (più che ardua) selezione. “Come si può leggere nella nota metodologica di Marco Crisanti, abbiamo cercato di contemperare diverse esigenze nella scelta dei dischi: l’oggettiva importanza storica dell’album/band, il punto in cui essa si innestava nel contesto internazionale del genere proposto e la qualità intrinseca dell’opera. Non tralasciando, ovviamente, il nostro gusto soggettivo. Ci sono state band che inizialmente avevamo incluso nella “top 50” (ad esempio Hocculta, Linea 77, Scuorn o Hour of Penance) che poi abbiamo dovuto “sacrificare” in appendice per far posto ad altre che rispondevano meglio ai criteri di cui sopra. Ci sono state, per ognuno di noi, delle rinunce affettivamente importanti (per il sottoscritto, ad esempio, i Dammercide) ma, riguardando l’elenco, devo dire che alla fine siamo tutti molto soddisfatti“.
Sfogliando le pagine di Come il metal italiano è diventato se stesso è facile rendersi conto che ognuno dei quattro autori ha background in parte comuni e in parte diversi, dettati da differenti preferenze, sensibilità e gusti musicali. “In particolare – riprende Roberto – ognuno di noi ha stili differenti: chi è più analitico, chi più divulgativo, chi più visionario, chi ha uno stile più immaginifico ed emotivo. Insomma, riusciamo ad essere piuttosto complementari. Inizialmente avevamo timore che l’alternarsi dei diversi registri potesse disorientare il lettore ma, mentre ci si lavorava, abbiamo invece capito che questo era un punto di forza, che rendeva la lettura più stimolante“.
In attesa di un nuovo libro che vada a integrare questo appena uscito (“Idee in cantiere ce ne sono. In primis, l’approfondimento proprio delle band inserite in appendice. E chissà, l’idea un domani di unificare i due tomi e farne un compendio con cento titoli“), Ursino illustra i feedback ottenuti fin d’ora da chi ha letto Come il metal italiano è diventato se stesso. “Dopo la pubblicazione ci hanno scritto, sia privatamente sia sui social, diverse band, esprimendo apprezzamento sincero per la loro presa in considerazione da parte nostra. Alcuni di questi messaggi li conservo perché mi hanno addirittura commosso. Ho apprezzato molto chi è riuscito a cogliere lo “spirito” dell’opera, il punto di vista del puro appassionato. Il libro infatti non vuole solo essere un punto sullo stato dell’arte del metal italiano dal 1983 ad oggi (come si evince dal titolo), ma uno spunto per chi è appassionato di metal per recuperare dischi, e/o discografie intere. Come se le band di cui parliamo fossero delle porte da cui entrare e conoscere nel suo complesso un mondo che, in Italia, è stato, ed è ancora oggi, poco noto“.