Sono in molti a ritenere che il Metal stile “vecchia scuola” sia ormai morto e sepolto e che le vecchie band non abbiano più molto da dire alle nuove generazioni di metellari. Puntualmente però, per ogni detrattore del vintage, una band storica è pronta a dimostrare, con un nuovo album, che non basta un meteorite per distruggere i dinosauri. Nello specifico, in questo caso, parliamo degli americani Obituary che, nonostante della morte ne abbiano fatto la loro principale ispirazione, sono ben lungi dall’essere artisticamente defunti e lo dimostrano dando alle stampe un album, Dying of Everything, che li pone ancora e sempre nella top five delle band Death Metal più importanti e significative di tutti i tempi.
Se state leggendo questa recensione nella speranza di scoprire che i cinque necrologi hanno dato una svolta al loro sound potete fermarvi qui, perchè Dying of Everything è quanto di più obituariano ci si possa aspettare. Tre quarti d’ora di puro Death Metal americano cupo e polveroso, esattamente come quasi tutte le produzioni create finora dalla band e, detto francamente, va benissimo così! Ad aprire le danze abbiamo Barely Alive uno dei pezzi più veloci del disco; una cavalcata serratissima di 3 minuti, dalle tinte Hardcore che accompagna bene il lamento quasi sofferente di Tardy. A seguire The Wrong Time, brano molto più fosco ed ossessivo del precedente; gli ipnotici riff di chitarra martellano la testa dell’ascoltatore quasi più della batteria mentre le tonsille del frontman vengono stravolte. Rimanendo in tema di ossessività, abbiamo Without a Conscience, altra canzone telefonata nella quale tutti gli elementi che rendono lo stile degli Obituary riconoscibile sono messi al loro posto; l’assolo melodico in mezzo al brano è un buon modo per spezzare la monotonia del pezzo (d’altra parte se volete musica sempre diversa, ascoltatevi il progressive e non rompete a noi amanti del Death Metal). Una breve intro alla One dei Metallica segna l’inizio di War, canzone massiccia, caratterizzata da un riff che invoglia all’headbanging; nota divertente del pezzo è la ripetizione quasi comica, della parola “War” da parte del cantante che risulta abbastanza cringe anche se, tutto sommato, non rovina il brano. Nella title-track Dying of Everything la band sfodera di nuovo l’anima Hardcore per confezionare un pezzo grezzo, veloce ed incazzato al punto giusto, ma in fondo si sa che i brani che danno il nome al disco hanno (o almeno dovrebbero avere) una marcia in più. By The Dawn è un pezzo dalle influenze decisamente più scandinave, non solo per l'”effetto chainsaw” delle chitarre ma anche per l’atmosfera più glaciale e sinistra. Concludiamo la nostra analisi con Torn Apart, canzone dai toni thrasheggianti; il brano è ricco di cambi tempo e stacchi che lo rendono uno dei più variegati del disco

L’ascolto di The Dying of Everything non dà all’ascoltatore quel senso di innovazione che ormai tutti sembrano cercare ossessivamente in ogni nuovo progetto discografico. Quest’album è perfettamente e squisitamente uguale ai precedenti, senza abbellimenti o arzigogoli di sorta, fatto per chi ama la brutale crudezza del sound degli Obituary o, in generale, apprezza quella branca dell’Heavy Metal che, per consuetudine, definiamo Death. Si facciano avanti allora i fan, si guardino bene dall’ascoltarlo i detrattori e per chi si colloca a metà, dategli comunque una possibilità, anche solo per ritrovare quel sound duro e crudo ma così nostalgico ormai da essere retaggio di pochi artisti.
Tracklist:
1. Barely Alive
2. The Wrong Time
3. Without a Conscience
4. War
5. Dying of Everything
6. My Will To Live
7. By The Dawn
8. Weaponize The Hate
9. Torn Apart
10. Be Warned
Line-up:
John Tardy – Voce
Kenny Andrews – Chitarra
Trevor Peres – Chitarra
Terry Butler- Basso
Donald Tardy – Batteria
Anno: 2023
Etichetta: Relapse Records
Voto: 7.5/10