The Dirt: Mötley Crüe

“Poteva succedere a chiunque, invece è successo a noi”.

Chi, come me si è avvicinato al Rock da ragazzino non può negare che, parte del fascino di questo genere musicale, derivi dal famosissimo detto Sesso, Droga e Rock n’ Roll, motivo anche che ci ha spinto ad imparare a suonare uno strumento.
Sì perché, ammettiamolo, chi di noi non ha sognato, nelle lunghe ore passate nella propria saletta prove, di diventare una superstar mondiale piena di soldi e donne (o uomini) senza pensiero alcuno al mondo che non fosse quello di sopravvivere agli eccessi del Tour solo per ripartire di nuovo, ancora ed ancora?
Tra tutte le band, quella che di più ha incarnato questo motto e questo stile di vita sono sicuramente i Mötley Crüe.
La band Glam Metal per eccellenza, fondata dal leggendario bassista Nikki Sixx, che negli anni ’80 ha dato sfoggio di tutta la sua Eccessività, è tornata recentemente alla ribalta grazie al biopic di Netflix dall’evocativo titolo The Dirt (che tradotto significa Il Lerciume) tratto dal romanzo autobiografico scritto dalla band stessa.

Siamo a Seattle nel 1973, un giovane disadattato di nome Franklin Carlton Serafino Feranna Jr. (interpretato da Douglas Booth), fugge dalla casa della madre alcolizzata dopo anni di abusi e si trasferisce a Los Angeles nella speranza di incontrare il suo padre biologico; speranza che viene meno quasi subito e che spinge il giovane a tagliare totalmente con il passato e a cambiare legalmente il suo nome in Nikki Sixx.
Con il suo nome nuovo di zecca Nikki decide di dedicarsi alla sua unica vera passione, la musica.
In breve fonda la sua prima band punk dal nome London con la quale inizia a farsi un nome ed un piccolo seguito nei locali underground di Los Angeles; una sera, dopo un concerto finito male che porta allo scioglimento dei London, Nikki incontra in una tavola calda il giovane batterista Tommy Lee (Colson Baker aka Machine Gun Kelly) che dice di essere un suo fan.
Il giovane Sixx, rimanendo colpito dall’abilità di Tommy nel maneggiare le bacchette, decide di prenderlo a suonare con lui e di fondare assieme una nuova band.
Dopo diversi provini falliti trovano il chitarrista Mick Mars (Iwan Rheon) che, sebbene più vecchio degli altri due, si integra immediatamente e sembra rappresentare perfettamente il sound che i due ragazzi avevano in mente per la loro musica.
Dopo essere stato preso nel gruppo, Mick confiderà ai ragazzi di essere malato di una malattia degenerativa alle ossa e che li avrebbe seguiti unicamente se avessero accettato di fare della musica la loro vita perché non aveva più tempo da sprecare. Con questa nuova consapevolezza i tre iniziano a creare e comporre le canzoni che li avrebbero da lì a poco resi leggendari.
Qualche tempo dopo tutti e tre si ritrovano ad una festa in piscina durante l’esibizione di una cover band; Immediatamente Tommy rimane colpito dalla capacità vocale del cantante e dal fascino che esercita sulle ragazze e, dopo averlo fatto notare ai suoi compagni, decidono di conoscerlo e di invitarlo ad entrare nella band neonata.
E’ così che Vince Neil (Daniel Webber) diventa il front man di cui Nikki e soci avevano bisogno.
Dopo aver trovato in Mötley Crüe il nome definitivo della band, i giovani musicisti iniziano a fare le loro prime apparizioni Live in giro per Los Angeles facendosi notare sopratutto per il loro comportamento estremo e le diverse risse che si scatenano durante i loro concerti.
La musica e la capacità dei 4 non passa comunque inosservata e ben presto, vengono ingaggiati dall’Elektra Records che fa firmare loro un contratto per 5 album e che li porterà ad un tour di supporto ad un gigante del calibro di Ozzy Osbourne (per l’occasione interpretato da Tony Cavalero).
Durante il Tour, spinti dai consigli del Principe delle Tenebre, i Mötley Crüe iniziano un periodo di feste sfrenate a base di sesso selvaggio, droga e alcool.
Gli eccessi della band diventano leggendari e li rendono ancora più famosi della loro musica; purtroppo, con la sfrenatezza arrivano anche i problemi, uno dei più gravi è la morte di Razzle (Max Milners) cantante degli Hanoi Rocks che affiancavano la band in un tour.
Una sera infatti Vince decide di portare Razzle a fare festa assieme e, dopo essere usciti da un locale in preda ai fumi di alcool e droga, Vince si mette alla guida rimanendo coinvolto in un gravissimo incidente dal quale ne uscirà fortunatamente illeso. Razzle invece, subirà una sorte ben diversa.
Vedendo morire il suo amico accanto a lui Vince rimane psicologicamente compromesso e, dopo essere stato condannato a 30 giorni di carcere per guida in stato di ebrezza, torna dai suoi compagni molto cambiato.
Nel mentre anche Nikki discende sempre più nella spirale dell’eccesso e diventa dipendente dall’eroina.
A causa di questa assuefazione la sua vita andrà a consumarsi lentamente e farà perdere al giovane la passione per il suo lavoro.
I problemi si sommano quando il terzo album della band non riceve il successo dei precedenti perché viene considerato troppo commerciale, questo genera tensioni e litigi all’interno del gruppo e i rapporti tra i membri, che fino a quel momento erano affiatatissimi, iniziano a logorarsi.
Soltanto toccando veramente il fondo e dando un svolta decisa al loro modo di vivere i quattro musicisti riusciranno a rimettersi in carreggiata, a ricomporre le loro vite e a ritrovare la loro amicizia, da sempre il vero motivo per cui tutti e 4 avevano deciso di suonare insieme.

Come tutti i biopic, anche “The Dirt” mantiene una buone dose di “fiction” che, sebbene faccia sempre storcere il naso ai puristi, fa sì che il film sia piacevole e divertente; non mancano le scene toccanti che nel complesso della pellicola riescono a creare il giusto pathos.
In generale il film riesce bene nel racconto delle vite estreme e complesse delle Star degli anni d’oro della musica Rock, senza però banalizzarle, regalandoci un buon spaccato della Los Angeles a cavallo tra gli anni ’80 e ’90; anni che sono stati sicuramente prolifici per la musica ma che hanno anche portato a galla fragilità e indecisioni di tanti giovani dell’epoca (molto attuale come tematica a mio parere).

E’ molto apprezzabile anche come il regista sia riuscito a disegnare bene la vita di ognuno dei membri della band (utilizzando la tecnica del racconto in prima persona di ognuno di loro), restituendoci parte di quell’umanità che spesso, personaggi così in vista hanno la tendenza a perdere, sopratutto agli occhi di chi li segue o li ammira.
Attraverso questi film è più facile identificarsi in coloro che consideriamo alla stregua di divinità e ci aiuta a ricordarci che sono persone esattamente come noi, con le loro difficoltà, le loro emozioni e le loro vite travagliate e che spesso, nonostante tutto il successo, è sempre molto difficile sfuggire ai propri demoni.
Insomma la visione del film è caldamente consigliata a tutti coloro che sono nostalgici dei mitici 80s ed, in generale, della musica Rock massiccia ma anche scanzonata di cui band come i protagonisti della pellicola hanno contribuito a creare; Sopratutto, però, è consigliata a chi vuole approfondire di più gli aspetti umani di personaggi che, apparentemente, di umano sembrano non avere nulla.

Vi ringrazio come sempre per la pazienza e per la curiosità che vi ha spinto a leggere la mia recensione, arrivederci ad una prossima recensione.

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