“Il rock ‘n’ roll non andrà avanti così. Ci sarà un giorno del giudizio. Non è più sufficiente che una band abbia da offrirci soltanto avidità, spavalderia e sfacciata insincerità e che tutto questo venga chiamato intrattenimento. Forse oggi qualche anima malaccorta è ancora pronta a crederci, ma lì non c’è futuro”.
Parole di Jon Landau, critico musicale, produttore discografico e manager, che campeggiano in apertura della nuova biografia dedicata a una band leggendaria della storia del rock.
Firmato da Bob Spitz, giornalista e autore di tanti volumi conosciuti dedicati ad altrettanti grandi nomi (dai Beatles a Bob Dylan, da Julia Child a Ronald Reagan), Led Zeppelin: la biografia definitiva (Rizzoli Lizard, brossurato, 720 pagine, 25 euro) racconta (a tutto tondo) la vita di Robert Plant, Jimmy Page, John Paul Jones e John Bonham, cercando di scindere gli uomini dagli artisti, quasi delle divinità per tutti gli appassionati. “Fanculo gli anni Sessanta, stiamo per disegnare la mappa del nuovo decennio”, urlava al mondo lo stesso Page, fondatore della band britannica, considerato tra i più influenti, rilevanti e versatili chitarristi e compositori dell’universo del rock. Non si esagera, pertanto, quando si afferma che tante band hanno fatto il genere, mentre poche realmente la storia.
Come i Led Zeppelin (“non volevano tenerti per mano. Non scherzavano. Questa era roba seria, di sostanza”, si legge nella biografia), il cui percorso artistico e umano è stato ricostruito con dovizia di particolari da Spitz – è stato manager di Bruce Springsteen ed Elton John in momenti determinanti delle loro carriere –, profondo conoscitore della materia, che è andato direttamente alla fonte, raccogliendo le confessioni dei “giganti” Plant, Jones e Page (del compianto Bonham, il frontman dei Foo Fighters ed ex batterista dei Nirvana, Dave Grohl, ha addirittura affermato: “Diventai ossessionato da lui. Il suo sound era indefinibile e privo di errori”).
Ecco, dunque, che l’autore tratteggia il contesto nel quale la band si è mossa, rimarcando come il suono dei Led Zeppelin – sorti dalle ceneri degli Yardbirds – abbia contribuito (come già anticipato) a portare gli anni Sessanta nei Settanta, conducendo il pubblico dai club alle arene, mutando le superstar dell’epoca in rockstar intramontabili. C’è tutto (e di più) in questa biografia definitiva – con traduzione di Alfredo Marziano – al pari delle vibrazioni che emana.
E le sfumature si mescolano, come i generi dai quali la band nata nel 1968, nel corso degli anni, ha attinto a piene mai: dal blues al rock-blues della metà del secolo scorso fino al folk e alla musica orientale, quest’ultima particolarmente cara a Plant. Ciò nonostante, il sound dei Led Zeppelin è sempre stato fresco, lasciando segni profondi nel futuro del rock’n’roll. Brani intramontabili come Stairway to Heaven, Kashmir, Whole Lotta Love, Black Dog, No Quarter – ma gli esempi sono tanti – tra i quali Spitz si muove perfettamente a proprio agio, facendo parlare direttamente la musica, la miscela selvaggia e, al contempo, delicata della band che, pur pubblicando nove album in studio, viene tutt’ora ricordata per i seminali primi quattro dischi, pubblicati nell’arco di appena tre anni: dal 1969 al 1971.
Dagli studi di registrazione ai momenti privati, dai tour ai bagni di folla: il pluripremiato Spitz offre al lettore una serie di chicche, non disegnando – va da sé – la pura cronaca. In Italia Rizzoli Lizard ha giù pubblicato, nel 2018, Led Zeppelin by Led Zeppelin (cartonato, 400 pagine, 59.95 euro), il primo – e unico – libro ufficiale illustrato, prodotto in collaborazione con i membri della band. Il consiglio è di non perderlo e di affiancarlo, in libreria, alla “biografia definitiva”. Due è meglio di uno.
