Il thrash metal è pieno di band spettacolari, e noi italiani non siamo da meno. Abbiamo chiacchierato con Matteo Bellezza, chitarrista degli Enemynside, riguardo la loro ultima uscita, l’industria della musica e il futuro della band.
Ciao ragazzi, come state?
– Ciao! Tutto bene, grazie. È un periodo piuttosto intenso ma pieno di soddisfazioni. L’uscita di In The Shadows Of Unrest ci sta dando ottimi riscontri e siamo felici di come sta venendo accolto sui vari social e non solo. Sentiamo di essere in una fase molto ispirata della nostra carriera.
Avete scelto di registrare tra due studi diversi – Kick Recording e Temple of Gravity. Come ha influenzato il risultato finale questa scelta di dividere il processo di registrazione?
– La scelta di lavorare in due studi è stata dettata dall’esigenza di unire due approcci diversi ma complementari. Al Kick Recording abbiamo potuto contare sull’esperienza di Marco “Cinghio” Mastrobuono per catturare la potenza del suono di batteria e basso, mentre al Temple of Gravity, dove Fran ha curato le chitarre e la voce, abbiamo potuto lavorare con più calma, sperimentare e rifinire i dettagli. Questo mix di ambienti e metodi ha reso il risultato finale più dinamico e personale.
In The Shadows Of Unrest come titolo evoca tensione e inquietudine. Quali sono le ombre e l’inquietudine che avete voluto esplorare in questo EP?
– Il titolo riflette l’atmosfera di incertezza e di disordine che stiamo vivendo a livello globale, ma anche le inquietudini interiori che ognuno di noi affronta. Le “ombre” rappresentano le parti più nascoste, i conflitti interiori, la fatica di restare lucidi in un mondo instabile. È un disco che parla di caos e di ricerca di equilibrio, sia personale che collettivo.
Fran ha gestito personalmente la registrazione di chitarre e voce al Temple of Gravity. Quanto controllo creativo vi ha dato questo approccio più “hands-on” rispetto a registrazioni precedenti?
– Tantissimo. Avere la possibilità di registrare in autonomia permette di lavorare senza pressione, di sperimentare e di correggere i dettagli finché tutto non suona esattamente come vogliamo. Fran ha potuto concentrarsi su ogni sfumatura della voce, ottenendo un risultato molto più fedele alla nostra visione sonora mentre io e Andrea abbiamo registrato da lui in autonomia le nostre rispettive parti di chitarra per poi affidare le tracce per il reamp a Cinghio.
Marco “Cinghio” Mastrobuono ha curato mix e mastering. Cosa cercavate specificamente in termini di sound moderno pur mantenendo le vostre radici thrash old-school?
– Cercavamo un equilibrio tra potenza e chiarezza. Volevamo che il suono fosse attuale, con un impatto moderno, ma senza perdere la componente organica e diretta tipica del thrash classico. Cinghio ha capito perfettamente il nostro intento, restituendo un mix in cui ogni strumento ha spazio ma senza sacrificare l’aggressività.
Siete attivi da un sacco di tempo e avete attraversato diverse ere del metal. Come è cambiata la scena thrash da allora e come siete riusciti a rimanere rilevanti per oltre 30 anni?
– La scena è cambiata tantissimo. Oggi c’è più accesso alle tecnologie, ma anche molta più saturazione. La cosa andrà peggiorando perché se ad un certo punto anche bands senza storia e/o esperienza grazie alle postazioni di home-recording e alla vetrina offerta dal web potevano pubblicare un prodotto amatoriale come fosse un’uscita ufficiale, ora con l’AI anche una singola persona se ne può uscire con un prodotto finito da gettare in pasto al web usando siti tipo SUNO . La scena thrash in questo lungo lasso di tempo ha avuto alti e bassi. Quando iniziammo noi, a metà degli anni ’90, eravamo nel periodo di rigetto di queste sonorità da parte di pubblico e mercato. Le bands underground che uscivano in quegli anni erano tutte dedite all’estremo (death e black in primis) mentre i padri del genere cercavano di inseguire il successo ottenuto dai Metallica del Black Album rendendo il loro suono più accessibile. Poi a metà anni 2000 c’è stato un revival di band nuove come Municipal Waste, Havoc, Evile, Bonded By Blood, ecc. che ha riportato il genere all’attenzione della gente. Ora sembra che tutto, thrash compreso, funzioni a nicchie e ogni genere abbia un suo spazio con relativo pubblico e bands di culto da seguire. Per quanto ci riguarda nel corso degli anni abbiamo cercato di restare fedeli alla nostra essenza, aggiornando il sound e le tematiche, ma senza inseguire le mode. Crediamo che la sincerità e la coerenza paghino nel lungo periodo.
Avete suonato con leggende come Destruction, Behemoth e Flotsam and Jetsam. C’è stato un tour o una collaborazione che vi ha particolarmente influenzato o cambiato come band?
– Ogni esperienza di quel tipo lascia un segno. Le date con i Flotsam e quella con gli Angelus Apatrida, ad esempio, ci hanno insegnato tantissimo in termini di professionalità e attitudine live. Vedere da vicino come lavorano band di quel calibro è un’occasione di crescita enorme. Ti spinge a migliorarti e ad affrontare tutto con una mentalità più internazionale.
Whatever Comes del 2012 ha visto la partecipazione di Richie Kotzen. Come è nata quella collaborazione e cosa ha portato al vostro sound un musicista di quel calibro?
– È nata in modo molto naturale. Conoscevamo Richie già da tempo grazie ai tour che il nostro bassista dell’epoca, Francesco Grieco, gli organizzava in Europa. Quando poi è venuta fuori la possibilità di collaborare, l’abbiamo colta al volo. Abbiamo pensato ad un pezzo dell’album che stavamo registrando che fosse il più vicino possibile al suo stile e così gli abbiamo proposto Too Many Times. Ha portato una sensibilità musicale e una profondità incredibili, oltre a un approccio melodico che ha aggiunto una dimensione diversa al sound del pezzo. È stata un’esperienza che ricordiamo con grande piacere!
Diyaco Paymazd ha creato la copertina dell’EP. Quanto è importante per voi l’aspetto visuale e come collaborate con gli artisti per catturare l’essenza della vostra musica?
– L’aspetto visivo è fondamentale. Una copertina deve comunicare immediatamente il mondo sonoro che l’ascoltatore troverà nel disco. Con l’immagine di Diyaco abbiamo trovato l’esatta trasposizione visiva di quello che vogliamo trasmettere con i pezzi dell’EP. Il risultato è un artwork che rappresenta perfettamente le atmosfere oscure rabbiose e tormentate contenute nel nuovo In The Shadows Of Unrest.
Dite che questo EP porta il vostro suono aggressivo “al livello successivo”. Concretamente, cosa avete fatto di diverso rispetto a Medusa o This Is War?
– Abbiamo spinto di più sulla parte ritmica e sull’intensità ingrossando molto di più il sound rispetto a This Is War, ma allo stesso tempo abbiamo curato maggiormente le melodie e le armonie. È un lavoro più bilanciato e maturo, con una produzione che esalta ogni dettaglio. C’è un’evoluzione naturale, frutto di anni di esperienza e di una maggiore consapevolezza dei nostri mezzi.
Essere una band thrash italiana in un genere dominato da tedeschi e americani – è mai stata una sfida o al contrario vi ha dato un’identità unica?
– All’inizio è stata una sfida, senza dubbio e poi non dimentichiamoci che ormai l’Italia ha una storia di tutto rispetto in questo genere. Quando abbiamo iniziato a suonare noi c’erano bands come Extrema, In.Si.Dia e Broken Glazz che stavano uscendo con prodotti professionali guadagnandosi favori di critica e pubblico senza parlare dei vari Bulldozer, Schizo e Necrodeath che già avevano iniziato a seminare negli anni ’80. Poi successivamente sono fiorite altre bands come National Suicide e Hyades sull’onda del revival thrash di metà anni 2000. Quindi ora anche l’Italia ha una storia solida di nomi che nel corso degli anni hanno contribuito a dare una credibilità artistica anche al thrash!
Dopo aver rilasciato EP nel 2018, 2022, 2023 e ora 2025, preferite questo formato più agile rispetto ai full-length? Quali sono i vantaggi creativi?
– Sì, assolutamente. L’EP è un formato che ci permette di lavorare in modo più concentrato e spontaneo. In un periodo in cui l’attenzione del pubblico è frammentata, pubblicare con più frequenza aiuta a restare presenti e a sperimentare di più, senza i vincoli di un album completo.
Con oltre tre decenni di carriera alle spalle, quali sono gli obiettivi per il futuro degli Enemynside? C’è ancora qualcosa che non avete realizzato e che vorreste fare?
– Ci piacerebbe portare la nostra musica in posti dove non abbiamo ancora suonato, magari fuori dall’Europa. E ovviamente continuare a scrivere, registrare e sviluppare il nostro sound. La nostra motivazione è ancora fortissima, e se c’è una cosa che non cambia mai è la voglia di suonare dal vivo.
Grazie per aver dedicato del tempo a quest’intervista! C’è qualcos’altro che volete dire ai nostri lettori?
– Grazie a voi per lo spazio! Continuate a supportare la scena metal e se volete connettervi con noi potete farlo attraverso i nostri canali ufficiali come Facebook e YouTube. See you on the road!
