Abbiamo recensito l’ultimo album della one man band Meghistos, The Reasons, e dentro ci abbiamo trovato un death metal brutale ma allo stesso tempo particolare, con un uso sapiente delle tastiere e altro ancora. Abbiamo raggiunto questo musicista italiano per scoprire di più su questo progetto ed ecco il resoconto della nostra chiacchierata!

Ciao Meghistos, hai appena pubblicato un grande album intitolato The Reasons. Come ti senti per questa importante uscita?
– Innanzitutto grazie per lo spazio che mi avete dedicato. Il disco sta andando bene, con buoni riscontri dalla critica e dal pubblico e questo mi ripaga degli sforzi. Sai, non avendo aspettative economiche, vincoli contrattuali e altri legami faccio esattamente quello che voglio, e a volte mi rendo conto di utilizzare soluzioni azzardate per il contesto. Il risultato l’ho sempre trovato appagante, ma spesso l’artista tende a sopravvalutarsi o a non essere capito. A rassicurarmi sulla bontà di quanto propongo è intervenuto inoltre Andy “Bull” Panigada, offrendomi anche su questo album il suo supporto chitarristico e componendo un intero brano: Meat grinder.
Parlaci di come è nata la collaborazione con Buil2Kill Records.
– Volevo un’etichetta di professionisti e, al contempo, di appassionati, connubio non così scontato. Penso che l’etichetta fondata dai membri di un gruppo storico e di grande rilevanza come i Sadist sia decisamente la scelta giusta. Scelta reciproca, visto che da parte loro scommettere su un nome sconosciuto rivela coraggio e passione.
The Reasons è un concept album per caso? Vogliamo quindi parlare dei testi che affronta?
– No, non per caso. Nasce da quelle riflessioni spesso frutto di una insoddisfazione latente comune ai mortali: a cosa saremmo disposti a rinunciare per ottenere ciò che desideriamo? Quali compromessi saremmo disposti ad accettare? Qual è insomma il prezzo che saremmo disposti a pagare? Le tracce trattano di questi desideri e di come raggiungerli stringendo un patto con il Male, rappresentato da un pantheon infernale pronto a dettarci le condizioni: basta bussare al portone raffigurato in copertina e chiedere.
Nonostante la tua biografia accenni al fatto che il progetto Meghistos affondi le sue radici nei primi anni Novanta, discograficamente solo di recente si è reso attivo. Spiegaci un po’ cosa è successo e perchè non hai pubblicato prima altri album, o magari se lo hai fatto con altre band.
– A fine anni ’80 avevo da poco preso in mano lo strumento e la cosa che più desideravo era suonare dal vivo con una band. Nei primi 90, acquisita una tecnica sufficiente per tentare l’avventura, iniziai a cercare una band con cui esibirmi e trovai i Neophyte fondati dal mio tuttora caro amico Andy Soresina. I pezzi, ad eccezione di un unico brano, Hate Made Flesh, che verrà pubblicato su una compilation di una label americana, Razorback Records, non erano miei. Questo comunque ai tempi mi bastava. In realtà contemporaneamente a questa attività componevo parecchio ma mi limitavo a registrare su un 4 tracce. I risultati non erano soddisfacenti: la qualità audio era scarsa. Avrei dovuto mettere in piedi una band, ma la verità è che io volevo comporre e gestirmi senza nessuna intromissione e questo, a meno che tu non ti chiami Dave Mustaine, è utopistico. Oggi registrare più che decorosamente con un home-studio è diventato realtà e quindi, benché in ritardo sui tempi, mi sono deciso. Solo che il mondo è andato avanti e io musicalmente vivo ancora nei 90, con il risultato che potete ascoltare.
Parlaci un po’ di come componi di solito un brano.
– Suonerà strano in quanto non stiamo parlando di pop o cantautorato, ma spesso nascono prima nella mia testa: ho un sentimento che voglio esprimere ed immagino la musica, un bridge, un refrain. Poi prendo la chitarra e provo a testare la bontà dell’idea che, se mi sembra vincente, viene ulteriormente sviluppata ed integrata. A volte invece suono a sentimento quello che mi passa per la testa e quando identifico qualcosa che mi colpisce lo prendo come base per costruirci sopra qualcosa.
Crediamo che il sound dei Meghistos rimandi maggiormente al death metal statunitense degli anni Novanta. Sei d’accordo?
– Indubbiamente! I miei dischi sono una sorta di macchina del tempo: non cercano di imitare lo stile di un periodo, sono quello stile! Dopotutto sono cresciuto a Morbid Angel e Deicide ma sono anche abbastanza anziano per aver vissuto gran parte dell’evoluzione del metal.
Che altro dobbiamo aspettarci da Meghistos in futuro?
– Al momento sto lavorando su nuove tracce nelle quali vorrei introdurre un utilizzo “improprio” dei cori: vorrei farli duettare con il growl facendoli uscire dalla loro confort-zone. Insomma, come dicevo all’inizio non avendo vincoli cerco soluzioni che possano soddisfarmi, nella speranza ovviamente di incontrare il favore anche del pubblico.
La nostra intervista è finita! Grazie per la tua disponibilità. Vuoi lasciare un saluto ai nostri lettori?
– Ringrazio tutti coloro che vorranno dare una chance alla mia musica e al messaggio in essa contenuto che spero possa esser anche spunto di riflessione.
