
Titolo: Nothin’ But a Good Time
Autore: Tom Beaujour e Richard Bienstock
Editore: Il Castello
Anno: 2023
Pagine: 576
Prezzo: 25,00 €
Vincitore del Leone d’Oro al 65esima edizione del Festival di Venezia e di due Golden Globe alla 66esima edizione dell’omonima rassegna, il film The Wrestler (2008) racchiude un passaggio in cui l’ex campione, oramai caduto in rovina, Robin Ramzinski (interpretato da un sontuoso Mickey Rourke) si rivolge a Pam, ballerina di lap dance non più giovanissima (Marisa Tomei), parlando di quanto fossero magnifici gli anni Ottanta. Un’epoca indimenticabile, in cui band come Guns N’ Roses, Mötley Crüe, Def Leppard, Poison – solo per citarne alcune di grandissime – hanno tracciato un solco fondamentale per l’hard rock e l’hair metal. Generi, quest’ultimi, che sono riusciti a toccare la loro massima espressione proprio in quel decennio.
A un certo punto, però, con in sottofondo il brano dei Ratt Round and Round, il wrestler sconfitto esplode: “Poi Cobain, quel finocchio, è arrivato a rovinare tutto. Fine“. E Pam incalza: “Volevamo divertirci, che c’è di male?“. Una frase, quest’ultima, che ben racchiude lo spirito godereccio di quegli anni. E che il volume Nothin’ But a Good Time, scritto da Tom Beaujour (cronista, co-fondatore ed ex redattore capo di Revolver, il principale mensile statunitense di hard rock ed heavy metal) e Richard Bienstock (giornalista i cui scritti sono apparsi su New York Times, Rolling Stone, Billboard, Spin e altre testate. È stato senior editor del magazine Guitar World nonché executive editor della rivista Guitar Aficionado), rievoca facendo scendere più di una lacrimuccia.
Pubblicato in Italia da Il Castello Editore per la collana Chinaski (la stessa casa editrice che ha portato dalle nostre parti il volumone fotografico The Decade That Rocked, con gli scatti di Mark “Weissguy” Weiss e i testi dello stesso Bienstock), “La storia non censurata dell’hard rock degli anni ’80“– questo il sottotitolo – è una lettura corposa, che rimanda per dimensioni (e, soprattutto, contenuto) a un vero e proprio dizionario. Una sorta di “Morandini” di 576 pagine (25 euro), più un ricco inserto fotografico a colori con decine di scatti che immortalano le più influenti band del periodo (tra i grandi nomi ci sono anche alcune chicche, come Trixter e Tuff).
Nothin’ But a Good Time: il titolo riprende, tout court, il nome del noto brano dei Poison, primo estratto dal loro secondo album in studio Open Up and Say… Ahh!, uscito nel 1988. “Nient’altro che divertirmi, appunto“. Ed immaginiamo quanto si siano deliziati, Beaujour e Bienstock, nel catturare così bene l’energia e gli eccessi di quegli anni grazie alle parole dei musicisti di grandi gruppi, insieme alle dichiarazioni di nomi più che rilevanti per l’intero movimento: da Alice Cooper (“Vedevo band come Mötley Crüe e Bon Jovi, in quella che era l’epoca d’oro dei videoclip, in cui a tutti era consentito di esprimere il massimo della teatralità e del glamour“) a Ozzy Osbourne (“Siamo saliti sull’aereo, e sembrava di stare al bar di Star Wars. Noi eravamo seduti in coda, mentre gli altri in testa all’aereo sniffavano perfino sui maledetti bidoncini della spazzatura“) dalla “dolce” consorte di quest’ultimo, la produttrice discografica Sharon Osbourne, secondo cui “Ozzy e Mötley messi insieme erano pura follia” alla rocker Lita Ford (“In quei giorni vivevo con Nikki Sixx e mi sono fatta tagliare i capelli da lui“).
E ancora, Tracii Guns degli L.A. Guns (“Izzy mi diceva sempre: devi conoscere il mio amico Axl“), Tom Keifer dei Cinderella (“Era terreno redditizio la East Coast, lì le cover band funzionavano di brutto“), Duff McKagan dei Guns N’ Roses (“La gente cercava di fotterti la strumentazione, di affiggere il suo volantino sopra il tuo“), Sebastian Bach degli Skid Row (“Dopo il successo del debut ci siamo sentiti liberi“), Bret Michaels dei Poison (“Eravamo in tour da troppo tempo e per troppo tempo“), Dee Snider dei Twister Sister (“Venivamo liquidati come un fenomeno da club, una realtà locale“) e tanti, tanti altri. Non tralasciando (e come sarebbe stato possibile) manager, tecnici, agenti, produttori, discografici, promoter, fotografi, stilisti, costumisti, editori, registi, gestori di club, roadie e (le immancabili) groupie che hanno vissuto sulla propria pelle quel decennio tanto assurdo quanto irripetibile.
Avvincente e denso di curiosità, definito dal New York Times “un bestseller esplosivo” e da New Noise Magazine “uno sguardo affascinante, sorprendentemente illuminato, ma soprattutto divertente su un’epoca in cui le chitarre al neon, i capelli cotonati e i ritornelli stravaganti dominavano il mondo della musica“, Nothin’ But a Good Time rappresenta la cronaca definitiva – e senza censure – di un periodo storico in cui la fama e gli eccessi viaggiavano su binari paralleli. Narrato in prima persona da uomini e donne che hanno creato (o contribuito a creare) un suono – e un carrozzone tutt’attorno – inconfondibile. Figure in grado di creare o amplificare un suono e uno stile riconosciuto e riconoscibile, definendo un’era musicale contraddistinta da un’estetica unica, in cui le band e i loro fan andavano sempre e solo alla ricerca di un momento ideale (e trovandolo, altroché) in cui esprimersi liberamente, portando capelli lunghi e laccati, indossando vestiti in pelle super aderenti, pittandosi con trucco pesante. Suonando moltissimo.
Senza dimenticare che l’hard rock degli anni Ottanta, caratterizzato da cori accattivanti e riff di chitarra che ancora oggi ti entrano nel cuore e nella testa, ha avuto un impatto rilevante non solo sulla cultura dell’epoca, ma anche su quella degli anni a venire. Un genere che è stato fonte di ispirazione, oltremodo, per vari film (basti pensare a Rock Star, pellicola del 2001 diretta da Stephen Herek ed interpretata da Mark Wahlberg e Jennifer Aniston, e soprattutto a Rock of Ages, lungometraggio del 2012 diretto da Adam Shankman, adattamento cinematografico dell’omonimo musical rock di Broadway, con Tom Cruise e Russell Brand).
Tradotto da Barbara Caserta e dedicato dal gruppo editoriale Il Castello e dal marchio Chinaski Edizioni a Joe Sixx (alias Giorgio Buttinoni), loro collaboratore oltre che bassista della tribute ufficiale Mötley Gäng, scomparso lo scorso novembre, Nothin’ But a Good Time custodisce oltre duecento interviste. In apertura, un’entusiasmata prefazione di Corey Taylor – cantante di Slipknot, Stone Sour e fan del glam metal – che ricorda: “Ogni mega-ritornello era gustoso almeno quanto il cibo-spazzatura. Ogni riff di chitarra ti mandava fuori di melone. E, quando arrivava il finale, desideravi solo che la canzone durasse di più. In un certo senso, ogni brano era una metafora del nostro spasso totale, aggrappati com’eravamo con tutte le nostre forze a quella sensazione irrinunciabile e con l’ardente desiderio che non finisse mai più“.