Katatonia – Sky Void of Stars

Tornano a distanza di tre anni dal loro ultimo lavoro in studio City Burials del 2020 gli svedesi Katatonia. La band capitanata dal frontman Jonas Renkse è ormai da circa una ventina d’anni (ossia dal celeberrimo Viva Emptiness) che ha forgiato e consolidato un suono estremamente personale e unico, lontano sia dal death-doom degli esordi che dall’alternative/post rock di lavori quali Tonight’s Decision e Discouraged Ones. Non per questo i nostri si sono adagiati sugli allori, anzi, la vena creativa dei musicisti di Stoccolma ha fatto in modo che la band continuasse a partorire dischi improntati sì su un suono ormai consolidato, ma allo stesso tempo con nuovi elementi e sperimentazioni per ogni nuovo disco rilasciato sul mercato; c’è stata così la parentesi più muscolare ed alternative metal del capolavoro The Great Cold Distance, la vena sinfonica, drammatica e dark di album quali Night Is The New Day e Dead End Kings, le venature progressive di The Fall Of Hearts o il sound più minimale e ambient di City Burials.

Sky Void Of Stars è l’ennesimo capitolo che vuole portare una parziale ventata di aria fresca al sound della band pur mantenendo delle coordinate stilistiche e delle atmosfere ormai consone al gruppo – il lavoro è infatti il solito viaggio introspettivo nella mente del principale songwriter della band Jonas Renkse che attraverso la sua creatura ci dipinge un mondo distopico e a tinte fortemente dark. Un disco melodico, atmosferico, cupo, intelligente e complesso ma che allo stesso tempo sa anche essere molto catchy a tratti. Se vogliamo porre delle differenze tra questo album e il precedente City Burials possiamo senz’altro dire che Sky Void Of Stars riporta in auge il lato più heavy e muscolare dei Katatonia che negli ultimi lavori si era un pochino smarrito. Si tratta di un disco questo (come specificato anche dai membri dalla band stessa) pensato anche per essere suonato dal vivo con un sound quindi più d’impatto nella maggioranza dei brani proposti in scaletta e che annovera al suo interno degli elementi anche parecchio catchy. Allo stesso tempo l’aggiunta di elementi elettronici viene sviluppato ulteriormente rispetto all’ultimo City Burials donando al lavoro un retrogusto distopico, “artificiale” in un certo senso, senza che questo voglia essere un connotato negativo ma bensì un mezzo attraverso il quale il sound trova la sua giusta coesione con i testi e l’esperienza che la band ha tentato di ricreare. Già perché il tentativo di generare un mondo distopico (che nella maggior parte dei casi va a rappresentare una metafora della vita e dei pensieri dello stesso Renkse) lo ritroviamo in diversi brani dell’album come l’accessibile ma allo stesso tempo evocativa Colossal Shade, in cui Jonas menziona gli “Ingegneri” di questo oscuro disegno quasi come fossimo in un film sci-fi. Una sorta di portatori della notte, un’inno all’oscurità che in realtà vuole essere un parallelismo con la personalità dell’essere umano e della sua propensione nel cadere facilmente dello spettro più negativo delle nostre emozioni; quindi gli “apostoli” di cui parla il testo siamo noi stessi, mentre gli “ingegneri” di questa “ombra colossale” potrebbero essere gli avvenimenti avversi della vita oltre che le persone/cose che spingono la nostra mente in questi luoghi nefasti. Musicalmente il pezzo si basa su un riff e delle strutture ripetitive, quasi ipnotiche, che funzionano tuttavia nell’intento di questa composizione che è quella di essere immediata ed allo stesso tempo di avvolgere l’ascoltatore in una specie di stato di loop mentale, sposandosi inoltre molto bene come già accennato con il testo del brano. Opaline, il pezzo seguente, sceglie una strada simile in quanto riesce ad essere immediata sopratutto nel ritornello ma allo stesso tempo più malinconica con un buon uso di sintetizzatori e suoni elettronici per arricchire il sound. Altri due pezzi che mi sento in dovere di citare in quanto rappresentativi della varietà compositiva del platter sono la progressiva No Beakon Of Light To Illuminate Our Fall che, con i suo sei minuti abbondanti di durata, strizza l’occhio alle composizioni più elaborate di un disco quale The Fall Of Hearts, e la rocciosa Author, che invece ci riporta indietro con la mente alla ruvidezza di un disco quale The Great Cold Distance. Ad arricchire questo brano è un riuscitissimo assolo di chitarra, elemento non frequentissimo nella musica dei Katatonia ma che in questo disco viene posto in alcuni pezzi riuscendo sempre a donare un qualcosa in più a queste composizioni senza che si abbia mai la sensazione che questi vengano buttarti lì “a casaccio”, ma avendo anzi la loro collocazione ben precisa e sensata all’interno dei pochi brani che li ospita. Nel disco la prestazione vocale di Jonas Renkse rimane come al solito la ciliegina sulla torta di questo album per un cantante che pur rimanendo quasi sempre su delle tonalità vocali medio-basse riesce a trasmettere quella purezza e delicatezza alla proposta musicale della band contornando il tutto con un retrogusto dark e malinconico. La poesia dei suoi testi fa il resto, come abbiamo già potuto analizzare in Colossal Shade, tuttavia, se in quel caso il messaggio era facilmente analizzabile, generalmente i suoi testi rimangono criptici ed enigmatici, con spesso molteplici interpretazioni ma non per questo meno poetici e toccanti. Da menzionare anche le belle Birds e Austerity, due dei singoli scelti per promuovere il platter che con il loro mix di pesantezza, atmosfere dark, sintetizzatori ed un’elettronica minimale ma efficace (oltre che degli elementi catchy ma anche progressivi) rendono questi due pezzi degli highlight del disco. Non tutto però risulta ben riuscito in questo album e come spesso succede andando avanti nella tracklist degli album della band svedese c’è quasi sempre qualche piccolo calo o riempitivo come il brano Sclera per esempio, che dopo ripetuti ascolti non riesco proprio a trovare minimamente interessante o efficace risultando piuttosto povero a livello di idee ed ispirazione.

In conclusione Sky Void Of Stars continua la buona parabola dei Katatonia che si confermano come una band incapace di tirare fuori dischi mediocri. Il lavoro suona più elettronico, heavy e robusto rispetto al precedente City Burials, senza dimenticarsi però delle atmosfere dark di Dead End Kings e di alcune venature più progressive di un disco quale The Fall Of Hearts. Se siete fan dei Katatonia del periodo da Viva Emptiness in poi sicuramente apprezzerete questo disco che risulta essere in tutto e per tutto coerente con il sound della band degli ultimi vent’anni portando come al solito delle piccole novità o cambiamenti come abbiamo già menzionato in sede di recensione – insomma questo disco è un viaggio in una dimensione distopica e alternativa, fatta di atmosfere plumbee, riff massicci, elementi catchy e tanta poesia a livello lirico (elemento quest’ultimo che ci riporta da una dimensione puramente ultraterrena e fantastica ad un qualcosa di più tangibile e concreto). L’album in questione oltretutto ha il merito di essere stato mixato e prodotto in maniera egregia e nonostante forse suoni meno organico e più “artificiale” rispetto a quanto fatto dalla band in passato, il risultato finale è alla fin fine assolutamente in linea con le atmosfere del platter. Sky Void Of Stars non sarà un capolavoro trascendentale come furono ai tempi The Great Cold Distance o Viva Emptiness ma è sicuramente un disco su cui la band può andare fiera e un lieto inizio di anno per tutti i fan di un certo tipo di metal più atmosferico e melodico.

Tracklist:
1. Austerity
2. Colossal Shade
3. Opaline
4. Birds
5. Drab Moon
6. Author
7. Impermanence
8. Sclera
9. Atrium
10. No Beakon To Illuminate Our Fall
11. Absconder (Bonus Track)

Line-up:
Jonas Renkse – Voce
Anders Nystrom – Chitarra, tastiere , cori
Roger Ojersson – Chitarra
Niklas Sadin- Basso
Daniel Moilanen – Batteria

Anno: 2023
Etichetta: Napalm Records
Voto: 7.5/10

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