“Sarebbe stato un peccato che una band come i Necrodeath non avesse una biografia. Conoscendo Peso, ho pensato che avrebbe fatto piacere anche a lui, ci siamo parlati, e mi ha dato subito la sua disponibilità”. Parole di Massimo Villa, che con il suo libro, Necrodeath – The Shining Book (Arcana Edizioni, 288 pagine, 20 euro) va a colmare un gap, tutt’altro che irrisorio, nell’ambito della saggista musicale di casa nostra. C’è poco da girarci attorno: dagli anni Ottanta – con il primo demo tape The Shining Pentagram e subito dopo con l’ottimo Into the Macabre – la band ligure è stata una vera e propria precorritrice di un determinato tipo di metal, facendo scuola e ottenendo rispetto non solo nel nostro Paese, ma in tutta Europa (e oltre).
Forgiati dal metal più estremo, hanno una storia professionale caratterizzata da dischi importanti e una vita di aneddoti e storie che meritavano di essere narrate con passione e cura. Ed è proprio quello che ha fatto Villa, che precisa: “Considero i Necrodeath degli amici. Li conosco da anni, in particolare Peso e Pier, rispettivamente batterista e chitarrista della band. I primi contatti con i ragazzi li ho avuti per un’intervista che realizzai tempo fa in occasione dell’uscita di un loro disco”.
Già, parliamo di uno dei dodici (violentissimi) album in studio della band – il già citato Into the Macabre (1987), Fragments of Insanity (1989), Mater of All Evil (1999), Black as Pitch (2001), Ton(e)s of Hate (2004), 100% Hell (2006), Draculea (2007), Phylogenesis (2009), Idiosyncrasy (2011), The 7 Deadly Sins (2014), The Age of Dead Christ (2018), Defragments of Insanity (2019) – per oltre trentacinque anni di musica pesante dove i Necrodeath hanno sperimentato molto (pur rimanendo ancorati al thrash metal) e vissuto (altrettanto) momenti unici. Senza mai risparmiarsi.
Villa racconta tutto questo (e parecchio di più) in The Shining Book – arricchito da scatti del periodo – dove l’autore si addentra nelle registrazioni dei vari album e di alcuni progetti paralleli del gruppo, focalizzandosi sull’aspetto tecnico delle canzoni e sul significato dei testi, senza bypassare i concerti. E ancora, un’ampia discografia in appendice nonché i commenti sulla band da parte di alcuni addetti ai lavori e di selezionati fan fedeli al gruppo (che tra le sue influenze annovera Slayer, Kreator, Celtic Frost, Bathory, Possessed) fin dalla sua nascita, avvenuta a Genova nel 1984.
Un libro corposo (con prefazione di Cadaveria), denso di dettagli, ed è lo stesso Villa a tratteggiarne la gestazione: “Una volta raccolto l’intero materiale, ho cercato di creare un asse narrativo e integrare tutto quello che mi avevano detto. La forza del volume è proprio quella di alternare la dovizia di particolari sui vari album ai racconti dei protagonisti, alle loro esperienze di vita insieme. Per la stesura ci sono voluti sette mesi”.
Da qui, l’inevitabile domanda: per questo progetto editoriale, che tipo di supporto hai ricevuto dai Necrodeath? Pronta la replica di Villa: “I ragazzi sono stati fantastici. Ci siamo visti per un paio di mesi in streaming, ogni settimana, e abbiamo diviso per periodi i racconti che mi hanno fatto. Si sono spremuti parecchio per ricordare ogni aspetto, inclusi aneddoti, registrazioni e live. Poi sbobinavo, scrivevo e facevo leggere a Peso che praticamente mi ha fatto da editor”.
Ed è proprio il batterista Peso – gli altri membri della band sono Flegias (voce), Pier (chitarra), GL (basso) – che illustra in che modo il gruppo ha accolto l’idea di contribuire alla stesura della biografia. “Quando Massimo mi ha proposto la sua idea ci ho pensato un attimo: la cosa mi esaltava ma come avremmo potuto realizzarla? Gli anni sono tanti e i periodi e gli aneddoti potevano risultare offuscati o, peggio, svaniti. Così ho sentito gli altri, incluso un paio di ex membri, e tutti erano disponibili ad andare a frugare nei cassetti della propria memoria. Il giorno dopo ho chiamato Massimo e gli ho detto che la cosa si poteva fare, dovevamo solo capire come organizzarla”.
Il risultato, tangibile, è sotto gli occhi di fan e addetti ai lavori: The Shining Book sviscera la storia di una thrash metal band seminale, oltremodo di casa nostra, che annovera tra i propri sostenitori anche un certo Phil Anselmo. Non può esserci dibattito: i Necrodeath sono stati tra i primi gruppi thrash in Italia. E parliamo (scusate se è poco) dei primi anni Ottanta. A questo proposito chiediamo a Peso quanto è cambiato, da oltre tre decadi, il movimento. “Fermo restando il salire sul palco e suonare dal vivo direi che è mutato tutto. Se leggi la nostra storia, in particolare proprio il periodo degli anni Ottanta, ti rendi conto di come le cose si muovessero in modo diverso e la passione ti spingesse a fare cose che oggi, neanche lontanamente, un adolescente può immaginare”.
Quindi il batterista dei Necrodeath puntualizza: “A parte il cambiamento dei supporti fonografici delle produzioni, direi che internet è il maggior responsabile di questo mutamento epocale inerente la musica e, sono sincero, non so proprio dirti se in meglio o in peggio. Ma restando in ambito thrash metal in Italia, la cosa che purtroppo constato in modo evidente è l’assenza di rinnovamento del pubblico generazionale: infatti, se un tempo non vedevi ai nostri concerti persone con oltre 30 anni, oggi non vedi più nessuno al di sotto di quell’età (a parte qualche figlio di appassionati del genere). Ciò potrebbe essere un brutto segno per le sorti di questa nicchia del metal più estremo, ma la storia del rock ci ha insegnato che non dobbiamo mai abbatterci e forse, davvero, il thrash non morirà mai”.
A distanza di trentasette anni, però, è tempo di bilanci. Anche per i Necrodeath, che hanno raccolto quanto seminato? Peso non ci gira troppo attorno, e replica: “Abbiamo raccolto ciò che abbiamo potuto raccogliere nascendo in una nazione con una cultura totalmente differente rispetto a quella rock, figuriamoci metal e metal estremo. Nel corso degli anni, nella nostra conoscenza con i discografici non abbiamo mai firmato per un impegno superiore a una produzione e questo, va da sé, non ha agevolato i nostri rapporti né le nostre interlocuzioni in fase di trattative varie. Allo stesso tempo, però, questo aspetto ci ha sempre permesso di essere dei musicisti liberi, di fare ciò che volevamo nel momento in cui intendevamo farlo. E ciò lo porteremo avanti fino alla fine, perché sono fermamente convinto che la liberta artistica e personale sia ben più importante del raggiungimento del successo nel music business”. Lunga vita ai Necrodeath.