Ha esordito piccolissima (3 anni): in uno spot pubblicitario per la Kratf e con ruoli one shot nelle serie Early Edition e Cosby. A 7 anni interpreta Cindy Chi Lou, la coraggiosissima e trecciutissima bambina che, per nulla spaventata dal Grinch, gli spiega che sì, può valere la pena di festeggiare il Natale. Dopo alcuni ruoli cinematografici minori (2002, 2006 e 2007), torna alla carica nelle vesti della quattordicenne Jenny Humphrey della serie tv Gossip Girl (88 episodi tra il 2007 e il 2012), ottenendo il successo internazionale, e consolida questa inarrestabile ascesa firmando un contratto per la IGM Models (2008, stesso anno in cui ricompare brevemente nel cinema, con Spy School), comparendo sulla copertina di Teen Vogue (2009) e diventando la nuova material girl nella campagna pubblicitaria per la linea d’abbigliamento per adolescenti disegnata nientepopodimeno che da Lourdes Maria Ciccone Leon (2010), primogenita di Madonna.
La signora Ciccone non è però l’unico (e nemmeno il primo) punto di contatto tra Taylor Michel Momsen e la musica.
“I wrote my first song at age 5; it was about my dad’s dead dog or something“, dichiara presto l’ex bambina prodigio del Missouri. Anzi: mentre gli altri bambini ascoltavano ritornelli della Disney, lei ci dava dentro con Led Zeppelin, Oasis, Soundgarden, AC/DC, The Beatles, facendosi poi ammaliare dalla Shirley Manson dei primi Garbage, e poco più che bambina era nel pubblico di un concerto dei White Stripes: “It was loud, it was violent, it was my first rock show. It was fucking awesome“. Fu lì che decise che sarebbe diventata una rock star? Pare proprio si dì.
Su come sia avvenuta la transizione dal set cinematografico al palco non abbiamo molte informazioni: riservatissima su ogni ambito della sua vita, non si sbottona volentieri (in senso metaforico, of course) e resta vaga quanto basta per non essere accusata di evadere le domande (“I’ve been singing and writing songs my whole life, but people didn’t know that“). Ma ha almeno avuto una formazione musicale specifica? Qualcuno l’ha illuminata preventivamente circa le regole musicali dello show business? “It was a natural formation. I’m a singer-songwriter, so for two years or so, I was experimenting with various producers, to see who shared the same vision as me. It seems there are a lot of pop producers right now, and hardly any rock producers. So, when I finally met Kato [Khandwala], it was a big relief, because he’s like the most rocking guy you’ll ever fucking meet. That set the standard. Then [guitarist] Ben Phillips and I wrote all songs together.“
Non si risenta allora se viene fraintesa: vuoi per il suo look trasgressivo, vuoi per la testa platinata che dimena disordinatamente sul palco, ma vuoi anche per certi vocalizzi rochi con cui fa la dura davanti al microfono, qualcuno l’ha subito ribattezzata la Junior Courtney Love (con suo grande disappunto… poi diplomaticamente ritrattato con precisazioni del tipo: “But I’m not going to complain, because she is great“. Come a dire: non avertene a male, Courtney, niente di personale).
Il suo album di debutto esce nel 2010, con i Pretty Reckless. Erano già alcuni anni che lei cercava la formazione adeguata allo scopo ma è solo con l’incontro con il produttore, songwriter e ingegnere del suono Kato Khandwala (al secolo Suketo Khandwala) che la sua carriera musicale decolla. Kato, insostituibile mentore anche per molte altri “insospettabili” artisti (tra cui Halestorm, Pop Evil, Papa Roach, Blondie, My Chemical Romance), diventerà per Taylor molto più che un Pigmalione. Quando, otto anni dopo, Khandwala passerà a miglior vita per i postumi di un incidente motociclistico a Los Angeles, lei ne uscirà distrutta: “He was our ring leader, our confidant, my best friend, my family, my musical soul mate,” commenterà su Facebook “Nothing will be the same without him. […] I love you Kato, I will miss you every minute of every day, I don’t know what to do without you.“
Comunque, facendo un passo indietro, l’uscita di Light Me Up non passa inosservata: nel videoclip di Make me wanna die, il sofisticatissimo look da black lady tradisce i trascorsi in passerella della cantante proprio quando, sfilatasi la giacca in pelle nera, esibisce quella lingerie prêt-à-porter che, ripetutamente velata dalle sue lunghe extension platinate, tanto rimarrà impressa nei suoi nuovi fan. Ma la sua prima fan era… Taylor stessa: “I knew one thing: it would be rock. It would be loud. When actually writing the songs, though, inspiration came from everyone and everything. Everything was organic, written on the acoustic guitar. I wanted song-driven rock; the elaborate flourishes and specific production all came later.“
L’album propone 34 minuti di rock aggressivo e melodico quanto basta, in una sequenza di tracce bilanciata e accattivante. E a quanti la accusano di ripiegare sulla musica perchè ancora le bruci la mancata scritturazione in Hannah Montana la neomaggiorenne ribatte con una tenuta da palco che vince ogni dubbio sulla sua autenticità.
A dirla tutta, forse un po’ di antagonismo con la zuccherosa coetanea Miley Cirus persiste: a partire da quell’intervista in cui , commentando la propria posa seminuda sulla copertina di Revolver, dà a Miley della repressa, rivendicando persino una – maggiore?! – maturità a partire dal proprio rapporto con la masturbazione: “Guys can masturbate. So why can’t girls? Why is that such a hidden topic from the world?”.
Comunque, dai videoclip (ammiratela in Just tonight!) ai live (i Pretty Reckless diventano la band di supporto del Revenge Is Sweeter Tour delle Veronicas), Taylor stravince, confermando alla Interscope di essere una potenziale gallina dalle uova d’oro (e, tanto per gradire, alcune canzoni di Light Me Up finiscono nell’adattamento cinematografico di Kick-Ass di Mark Millar in uscita lo stesso anno).
Nello stesso anno la ragazza avvia una relazione con Natt Weller (per gli amici Nathaniel, figlio di quel Paul che fondò prima i Jam e poi gli Style Council e della cantante Dee C. Lee): non si sa molto sulle circostanze del loro primo incontro (risalente a Ottobre) ma per lui la cosa si è fatta da subito seria se, oltre a raggiungerla nel backstage alla fine di ogni concerto (con disperazione delle sue followers, rese sistematicamente partecipi dell’evento su Twitter), l’ha subito presentata a (quella rock star del suo) papà, e con immediata risonanza sul Daily Mirror, grazie alla classica “fuga di notizie”: “Natt has taken Taylor to Paul’s home to meet his family and friends. They all had a big dinner together.“). Anche Taylor è presissima, eh! Ad esempio va a vedere il (possibile futuro) suocero all’Hard Rock Calling Festival in Hyde Park e twitta, sbagliando: “Watching Paul Weller at Wireless“. Dettagli.
Come biasimarla? Taylor ha ben altro da fare che stare dietro al “figlio di Paul Weller” tra una cena di famiglia e una di pubbliche relaz… pardon, di piacere con Kelly Osbourne (a proposito: girerebbero anche voci di un flirt col di lei fratello Jack, sempre nel 2010) e affini. E pare l’abbia sempre chiarito anche ai partner precedenti (tra cui il chiacchieratissimo attore Paul Iacono che, qualche anno dopo la loro relazione – 2008 – farà liberatoriamente coming out con un: “Yes I’m gay. And yes, it does get better“).
I cacciatori di gossip non le danno tregua ma d’altronde, con il suo metro e settantatré di altezza, le misure che non lasciano indifferenti (81-58.5-84 cm), una seconda abbondante di reggiseno (e, ok, un 42 e mezzo di piede che non fa proprio Cenerentola: ma nessuno è perfetto) è facile per l’ormai famosa Mrs. Momsen essere oggetto di qualche pettegolezzo invidioso. Il padre Michael e la madre Collette, che pure la avviarono precocemente al mondo dello spettacolo (insieme con la secondogenita Sloane, anche lei divenuta attrice) l’hanno seguita, finché possibile, da lontano (da vicino ci pensavano le istitutrici della cattolica Our Lady of Lourdes School). Farcela completamente da sola ora è un po’ diverso, specie se ce la metti tutta per fare una bella intervista e l’unica cosa che resta impressa all’intervistatore è che il tuo snack preferito sono i crackers zoomorfi immersi in acqua (!?) di cui andavi matta durante l’infanzia…
Ma poi, lei, tutta questa “protezione” da parte della famiglia d’origine l’ha davvero percepita come tale? Nel 2012, ad esempio, anno associato al secondo EP della band (Hit me like a man, a cui appartengono Only You e Kill me che finiscono nelle colonne sonore, rispettivamente, di Frankenweenie di Tim Burton e dell’ultimo episodio di Gossip Girl) il video in cui Taylor declama le parole di Under the water rimbalza di schermo in schermo per la sua nudità finale. Ma quanti, anche tra i fedelissimi, si sono fermati a riflettere sul significato di quelle parole (soprattutto: quell’ I’ve never been free che sembra così accusatorio) talmente profonde da richiedere di essere “ripulite” dalla potenziale distrazione musicale?
“Excuse me sir am I your daughter? Won’t you take me back and see? It’s not a time for being younger and all my friends are enemies. And if I cried unto my mother, she wasn’t there for me. Broken lines across my mirror show my face all red and bruised. And though I screamed and I screamed no one came running, I wasn’t saved from you. […] I could be found, I could be one that was saved. Lay my head under the water. Alone I pray for calmer seas. And when I wake from this dream with chains all around me … I’ve never been free.“
Forse anche per il ruolo di ragazza-immagine a cui la Momsen non ha voluto rinunciare nella transizione verso il rock, l’unico dibattito che si è sollevato – specie in patria – si è focalizzato intorno alla (presunta) eccessiva magrezza della performer, seguito da semplicistiche e fuorvianti “diagnosi giornalistiche” di anoressia.
Comunque, ci piace pensare che il messaggio della “video-poesia” sia arrivato ai (due) destinatari originari e, toltosi questo dente, Taylor abbia deciso di andare oltre. Anche perchè, pur essendo la 60° attrice più pagata al mondo, ha scelto di continuare a vivere con loro, nel Missouri.
E quindi, crisi adolescenziale risolta e ascia di guerra sotterrata, Taylor può tornare a lavorare con i suoi Pretty Reckless alla loro seconda fatica, Going to Hell (2014) – uscito lo stesso giorno in cui la band firma il contratto con la Razor & Tie, distribuita dalla Sony Music Entertainment. È l’anno in cui entrano a pieno titolo nel firmamento delle rockstar, grazie a pezzi come Heaven Knows (da molti considerato il miglior brano rock del 2014) Fucked Up World e Follow Me Down: il debutto nella top 5 del Billboard di una band con voce femminile non capitava dai tempi dei Pretenders (e da esattamente trent’anni)! Un altro motivo per cui l’album è stato chiacchierato – ma nemmeno troppo – è stato il particolare “contributo” di Jenna Haze, (ex) attrice a luci rosse e grande amica di Taylor, alla intro di Follow me down: un (ufficialmente finto) orgasmo che (poi rimosso dalla versione radiofonica del brano) sembra far scaturire un (possiamo dirlo: sproporzionato??) debito di gratitudine da parte di Taylor: “I don’t want to give her personal life away away but… she super helped me out. She’s one of my very close friends.” Molto curioso per un album inizialmente frainteso – dai detrattori – come un concept imperniato intorno al tema del senso di colpa di matrice cattolica (ipotesi ancora più improbabile se pensiamo che Taylor negli anni ha dichiaratamente preso le distanze dalla cultura religiosa in cui è cresciuta: “I’m spiritual but I don’t practice any sort of thing“).
Comunque, nelle intenzioni della Momsen l’era del lingerie rock sembra volgere al termine: vorrebbe dimostrare, forse a se’ stessa prima di tutto, di potercela fare anche senza il make up pesante e gli abiti degli stripper stores (platform heels soprattutto) e, anzi, cimentandosi soprattutto in nuove esplorazioni musicali.
Per la frontwoman il terzo album Who you selling for (2016) avrebbe dovuto rappresentare proprio questo: la rinuncia alle facili provocazioni (visive) del passato (tipo quelle che, nel 2014, hanno contribuito a farle conseguire un Kerrang! Award per la categoria Hottest Female), e il distanziamento dalla dimensione di teen idol (soprattutto per un nutrito seguito di ragazzine, alcune delle quali molto aggressive!!! ) che le sta sempre più stretta: “It’s a strange feeling. I don’t think of me like that at all. None of us does. We just write songs and play music because we enjoy it. If it happens that our music connects with people that’s fantastic.” A proposito poi dell’ (attuale) importanza dell’estetica, precisa: “I think everyone’s beautiful in their own way. I’m sure there is a standard of a modern paradigm of what people consider beautiful. But I think originality and honesty is beautiful. So if you’re being yourself in whatever incarnation that is, being honest and true to yourself that’s the best and most beautiful person you can be. If you try to emulate anything then you’re already not being true to yourself. The only way to figure out who you are is to go through all these incarnations. Unless you’re emulating The Beatles. Or Jimmy Page [sorride]”. E, quanto al senso dell’album: “We wanted to be provocative. The title is about choosing a side in life. What party do you stand behind? Who are you answering to? What is your life worth? What are you doing with your life and what’ the point? There’s different interpretations of the title. It can be seen on a personal level but also in a socio-critical way. And also on a political level of course. I hope this record opens peoples minds and allows them to understand me as a person. And of course to understand themselves a little bit better in some way.“
Insomma, siamo (già) all’album della maturità? Della band, decisamente no. Il pot-pourri blues-country-folk proposto a questo giro spacca pubblico e critica, ricomponendoli però su un punto: non è niente di imperdibile (nonostante alcune tracce effettivamente più riuscite: Bedroom window e l’orecchiabile Take me down, per esempio). Ma un’altra ombra oscura aleggia intorno a questa terza fatica, pur lanciata da un acclamato tour al seguito di Guns’n’Roses e Soundgarden. La sera in cui questi ultimi si esibiscono per l’ultima volta con Chris Cornell, sono proprio i Pretty Reckless ad aprire la serata. Tre sere dopo la tragica dipartita di Cornell, Taylor (che giusto alcuni mesi prima l’aveva definito uno dei suoi musical hero) e la sua band gli rendono omaggio eseguendo Like a Stone degli Audioslave durante un’esibizione al BBT Pavilion, nel New Jersey (con particolare apprezzamento -pare – persino da parte di Vicky Cornell). Un paio di mesi prima del luttuoso (e scioccante) evento, Taylor aveva tra l’altro condiviso una visione particolarmente profonda dell’essere (e viversi come) artista nel corso di un’intervista:
“[…] I sometimes wonder about people you seem to have it all together: No problems, nothing. I wonder how they got there and how they can be so lucky. I’m the opposite. I question everything every day. Whether it’s myself or the band or my songs. Just everything! You`re constantly questioning yourself. […] It is very healthy to question everything. It doesn’t always make for the happiest of times but I think it´s absolutely necessary. […] Every day is different. I feel like a different person every day. You never know who you gonna be when you wake up in the morning. I think today I have less of a clue of what life is about than when I was younger! What’s the phrase? Ignorance is bliss… Being older is not so blissful. […]“
C’è dunque il rischio che si lasci scoraggiare dalle nuove sfide esistenziali, prima che musicali? Impossibile: “For me writing is cathartic. It’s my salvation. The thing that keeps me sane and able to get out of bed in the morning. A thing that gives me a reason. It’s like my own therapy.” Una terapia che però non risolve del tutto il cupo tormento che le fa da sottofondo: “Most of the songs are about fighting my demons. That’s a constant battle on a daily basis. Not just for me but for everyone. It’s life. A never ending process of getting through this. Never ending torture but also a lot of happiness and good things too. And then it all ends in death.”
La maturazione individuale della Momsen, che potrebbe essere il preludio a un percorso meno commerciale e più schiettamente artistico, ci anticipa oggi alcuni possibili scenari inediti, per quanto sempre ammantati di oscurità. Oltre a qualche rivisitazione delle scelte pregresse, seppur con più fatalismo che non severità: “When we first started out, I was a little young and stupid. I wore Xs on my nipples and corset dresses with stripper heels, and thought that was a good look. I’ll say this: It fit me at the time, whatever phase I was in or whatever that was. Everyone likes to stereotype things or write them off as not that serious or “this is just a phase,” especially when you’re that young. The music was never a phase, but the wardrobe was certainly a phase, so I think that may have overshadowed the music in the beginning, for sure. I was so outrageous. […] But I don’t look back on the records and go, “I wish I didn’t do that.” So the music was always the thing that has been in our world.“
A quando allora il tanto atteso giro di boa?
Al momento, l’unica certezza che abbiamo è che il nuovo album dei Pretty Reckless annunciato a Novembre 2019 (Death by Rock and Roll) vedrà la partecipazione di Tom Morello dei Rage Against the Machine, e Kim Thayil e Matt Cameron dei Soundgarden. E che per Taylor : “[…] può essere considerato come una rinascita […] il primo singolo ‘Death By Rock And Roll’ rappresenta la mia salvezza personale raggiunta grazie al mio genere musicale preferito. Il rock è libertà e questa canzone parla di come vivere la nostra vita come più ci piace.“
Effettivamente, stando almeno alle prime impressioni lasciate dall’ascolto del primo singolo omonimo uscito a maggio di quest’anno (poco dopo la firma del contratto con la Fearless Records), sembra tirare un’aria nuova. Un’aria di cui potrebbe essere orgoglioso persino anche il grande assente del momento: il caro vecchio Kato.
Taylor ha comunque trovato il modo di farlo almeno “posare” un’ultima volta insieme a lei, in copertina, diafana come non mai, vestita di una lucida giacca in latex nero e in sella alla splendida moto appartenuta proprio a lui. Un modo, forse, per renderlo partecipe dei frutti di tanti sacrifici affrontati insieme. Perchè, sia chiaro: per la bella cantante è arrivato il momento di raccogliere i frutti.
“I gave everything up for music – affermava perentoriamente, a tal proposito, la Momsen di appena qualche anno prima – In fact not just me but everyone in the band did. If you love something that much then in order to attempt to achieve your goals you have to give everything up for it, and I literally do mean everything. Even if that does actually mean your soul.“
Che dire? Se vendere l’anima al Diavolo sarà davvero l’escamotage a cui Taylor ricorrerà per riuscire dove altre hanno fallito, non farà nulla di originale.
Ma senza ombra di dubbio sarà molto, molto rock.