Donne del Rock: Love rocks! [seconda parte]

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L’infanzia di Yoko esordì nel privilegio e finì drammaticamente nella povertà. Figlia di un ricco banchiere e di una pianista classica, la sua famiglia sopravvisse al bombardamento che Tokio subì durante la seconda guerra mondiale rifugiandosi in un bunker, ma perse tutto. E la piccola Yoko, così diversa dai suoi coetanei per le buone maniere che tradivano l’appartenenza all’alta società, veniva derisa dagli altri bambini, ignara del fatto che nel frattempo il padre era stato portato a morire in un campo di prigionia in Cina. Il trasferimento della famiglia negli Stati Uniti le permise di iscriversi a un college in cui coltivare la sua passione per la pittura, e di circondarsi (nonostante la severa disapprovazione dei suoi familiari verso le persone di rango inferiore) di vari artisti dalla vita bohémienne, soprattutto musicisti (tra cui i futuri ex mariti  Toshi Ichiyanagi, compositore e compagno di studi di John Cage, eil jazzista Anthony Cox, con i quali ebbe brevi e turbolente relazioni). Yoko Ono sublimava la propria indole profondamente critica e provocatrice attraverso opere concettuali e performative, che ebbero anche un discreto successo già da metà anni Sessanta nonché il merito di attrarre l’attenzione di John Lennon, che la corteggiò per ben due anni, nonostante fosse ancora sposato con l’anonima Cynthia Powell. Il precoce matrimonio con Cynthia, incontrata quando erano giovanissimi a un corso di calligrafia del Liverpool College of Art, fu la mera conseguenza della gravidanza imprevista di lei, e il figlio che nacque da tale unione, John Charles Julian (poi noto solo come Julian, una volta intrapresa la carriera musicale in età adulta), non si sentì mai abbastanza amato dal padre (che pure compose Lucy in the sky with diamonds a partire da un suo disegno). E dall’esterno è difficile dargli torto, se pensiamo che suo padre, già dipinto come violento e taccagno negli atti del divorzio, avrebbe poi dichiarato alla stampa (forse per ripicca verso la Powell?) cose poco carine tipo: “Jules è nato un sabato sera da una bottiglia di Whiskey”. In ogni caso John, inseguendo uno stile di vita dissoluto e poco consono alle sue responsabilità genitoriali, ebbe la stessa “svista” anche con Yoko ma, questa volta, amandola veramente. E mentre la gravidanza di lei rendeva ormai indifendibile la sua posizione, mettendo Cynthia dinanzi all’inevitabilità del divorzio (e come sarebbe potuta andare altrimenti, per una donna tenuta così lontano dalla vita nei Beatles che, dopo ben 10 anni di matrimonio, persino le loro agguerritissime fan ignoravano la sua esistenza?), Paul McCartney, con fare molto più paterno di John, si recava a consolare il piccolo Julian, dedicandogli Hey Dude (che non si chiamò Hey Jules, il vero soprannome del bambino, solo per esigenze di fraseggio). Julian non si consolerà mai abbastanza, sentendosi anzi sempre più snobbato tanto dal padre, che dai Beatles, che – immancabilmente – dalla stessa Yoko Ono (e dal figlio che avrebbe avuto da John, Sean). In verità anche Yoko Ono sarebbe presto diventata un genitore mancato: perché la sua prima figlia Kyoko Chan Cox, nata nel 1963, venne rapita dal padre nel 1971 (e un loro ricongiungimento sarebbe stato possibile solo nel 1998); e perché quella stessa gravidanza per cui sarebbe andata per la terza volta all’altare (1969) venne interrotta precocemente da un aborto; in un aborto finirono anche la seconda e la terza gravidanza, e solo alla quarta si giunse alla nascita di Sean. Sulla reale spontaneità di questi aborti sorsero invero diversi dubbi, a causa dell’abuso di sostanze da parte della coppia. E non mancarono ulteriori ombre sulla carriera artistica di lei: la critica dell’epoca era infatti spaccata tra chi la osannava e chi la disprezzava profondamente, ritenendola una parassita che brillava della luce riflessa del talento (vero) del marito. Ma a John queste accuse non interessavano minimamente: non solo le dedicò diverse canzoni ma le concesse di entrare, prima nella storia dei Beatles, in sala di registrazione mentre lavoravano al White Album. A parte l’indubbia gelosia suscitata nelle fan per quel privilegio, va forse ammesso che il ruolo di Yoko Ono, all’inizio solo di osservatrice, diventò di graduale “indirizzo” verso Lennon e, indirettamente, della band, con grande disappunto di Harrison. Anche dopo lo scioglimento della band, il ruolo di Yoko nella vita di Lennon, appartatosi con lei e Sean a vita privata, per molti rimase solo quello di aver iniziato Lennon all’eroina. E mentre i loro obiettivi si spostavano dalla musica all’attivismo per la pace e i diritti civili, il loro rapporto entrò in una crisi profonda, costellata di tradimenti, fraintendimenti, periodi di separazione. Un periodo in cui lui si consolò spesso con la nuova segretaria May Pang e lei si buttò a capofitto nel lavoro. Molti anni dopo, May avrebbe dichiarato che, a seguito dell’uccisione di Lennon  (avvenuta mentre si recava a trovare il figlio Sean), Yoko avrebbe ostinatamente cercato di rimuovere dalle biografie ufficiali del defunto marito ogni traccia di relazioni con persone diverse da lei. Non sappiamo quanto siano fondate queste manie di protagonismo: di sicuro sembrano irrilevanti a fronte all’inequivocabile centralità riservatole dal defunto sposo nel proprio testamento. Molti anni dopo, il tentativo di Yoko di salutare affettuosamente la scomparsa di Cynthia Powell, nel 2015, con un “Sono molto addolorata dalla morte di Cynthia. Era una bella persona e una madre meravigliosa per Julian” verrà ancora accolto – per dirla con un eufemismo – molto tiepidamente dai beatlesiani di vecchia data, che non hanno mai smesso di imputarle la rovina tanto di Lennon che dei Beatles.

Ma c’è un’altra coppia formatasi quasi in concomitanza dello scioglimento di una storica rock band, e presto degenerata, in totale balia della perdizione, dell’allucinazione, della disperazione.

Sid Vicious e Nancy Spungen non si sposarono mai, ma vollero lo stesso registrarsi come coniugi Ritchie (il vero cognome di lui) quando, nell’agosto del 1978, finirono nela camera n° 100 al Chelsea Hotel, quello da cui transitarono grandi nomi del rock degli anni Sessanta (tra cui Janis Joplin, Jimi Hendrix, Joni Mitchell, Tom Waits, Bob Dylan, Patti Smith, Nico e altri ancora). Lui, la “testa a porcospino” dei Sex Pistols, aveva appena incassato 25.000 dollari in contanti dalla Virgin per il suo primo singolo da solista My Way, e ora voleva goderseli in giro per New York con la sua bella. E lei, che prima di incontrarlo faceva la spogliarellista, non era però solo bella. Era anche intelligentissima: un QI sopra la media riscontratole già a tre anni, accompagnato purtroppo da deliri e crisi di pianto e rabbia (e minacce di morte alla babysitter, con le forbici, e alla madre, con un martello!); dopo una precocissima somministrazione di psicofarmaci (per lo più sedativi, la cui dose sarebbe solo andata aumentando nel tempo), un tentativo di suicidio a 12 anni e una stigmatizzante diagnosi di schizofrenia a 15, Nancy tentò per un’ultima volta di rientrare nei ranghi. Si diplomò in una scuola per ragazzi disturbati del Connecticut (dove, pare, avvenne il suo primo incontro con la droga), e si immatricolò – ancora diciassettenne – presso l’Università del Colorado. Era il 1974: l’anno in cui iniziavano il tramonto del progressive rock e l’ascesa della New Wave, mentre il punk cominciava a manifestare un forte bisogno di rinnovamento. Al CBGB (acronimo di Country, BlueGrass, and Blues) di Manhattan si stava covando qualcosa di forte, che negli anni a venire avrebbe restituito al Regno Unito quella stessa ventata di novità che gli Usa avevano, circa dieci anni prima, subito per via della c.d. “British Invasion“. E come tutti gli adolescenti ribelli a cui le routine provinciali stavano strette, Nancy, amante della musica e della poesia (sopra a tutte quella di Sylvia Plath) “sapeva” di dover puntare verso la Grande Mela. Ma senza l’appoggio della famiglia d’origine che, in conformità con la middle class ebraica che rappresentava, non poteva che prendere le distanze dai progetti, anzi, dalla totale assenza di progetti della ragazza.

Alcuni ancora oggi si riferiscono a Nancy come a una groupie, altri sottolineano come per sbarcare il lunario si esibisse principalmente in conturbanti strip locali in notturni. Non sappiamo esattamente in quale delle due vesti entrò in contatto con i New York Dolls (e, ancora prima, con Aerosmith e Ramones); sappiamo però che nel 1976 salutò New York e salì, insieme con il loro batterista, Jerry Nolan, su un aereo con destinazione Londra. Tutto il resto è storia: l’incontro con i Sex Pistols, gli approcci non andati a buon fine con Johnny Rotten e infine, tramite quest’ultimo (o, secondo alcuni, tramite Johnny Thunders: Rotten non gradiva infatti che un’eroinomane gravitasse intorno alla band) , l’incontro con Sid. Ora: secondo i tabloid dell’epoca, Johnny Rotten aveva probabilmente una relazione omosessuale con Sid. Rotten la negherà ufficialmente quasi quarant’anni anni dopo, nel suo libro Anger is an Energy: My Life Uncensored (2014), avendo però cura di esplicitare anche i suoi dubbi circa, semmai, l’orientamento anzi gli orientamenti sessuali dell’ex “collega”. Si mormora che tra i motivi di tale frecciatina ci sia stato, oltre allo spirito gossiparo necessario per vendere quel genere di pubblicazione, una mai risolta competizione tra i due. Quando a inizio 1977 Sid subentrò come bassista a Glen Matlock, Malcom McLaren in un primo tempo sentenziò: “If Johnny Rotten is the voice of punk, then Vicious is the attitude“. Ma dopo averli osservati meglio, precisò che se avesse conosciuto prima Sid, avrebbe voluto lui come frontman dei Sex Pistols. Comunque, una cosa su cui nessuno avrebbe avuto niente da obiettare era l’evidente inseparabilità di Sid e Nancy. Poco dopo il loro incontro Sid, impossibilitato dall’aggravarsi dell’epatite (e dalle continue sbronze) a contribuire alla registrazione di Never Mind the Bullocks, venne ricoverato e Nancy, che non si allontanò mai dal suo capezzale, venne dalla stampa individuata come la sua iniziatrice all’eroina (nonostante fosse noto che le dosi gli fossero da tempo procurate – e razionate – dalla sua stessa madre, Anne Beverley, donna sola con disturbi psichiatrici a sua volta tossicodipendente). Qualche decennio dopo, alcune ex “amiche” dei Sex Pistols avrebbero anche dichiarato – non nascondendo una punta d’invidia – che Nancy a Londra avrebbe continuato a vivere di prostituzione se non fosse riuscita a irretire (chissà come!!!) Sid, inarrivabile per una groupie qualunque perchè tendenzialmente disinteressato al sesso. Ma una lettura meno superficiale dei fatti le avrebbe fatte sicuramente propendere per una visione meno invidiabile della situazione.

Deborah Spungen, madre di Nancy, aveva da tempo rinunciato a qualunque intervento correttivo nei confronti della figlia: ormai si “accontentava” di monitorarla (e sostenerla economicamente) da lontano, dietro sua promessa di smettere con l’eroina. Le presentazioni con Vicious vennero organizzate da Nancy nella primavera del 1976, durante una telefonata intercontinentale. La ragazza inizialmente era euforica (“Mamma, ti rendi conto? [Sid] è la più grande rockstar del mondo… ed è tutto mio!“) ma poi iniziò a biascicare. “Ti fai di nuovo?” le chiese Deborah. Nancy provò a tergiversare, descrivendo l’inizio della loro convivenza in un appartamento con altri amici, poi le liti con questi ultimi che li costrinsero ad andare a dormire in auto, il drammatico bisogno di soldi, e poi, finalmente: “Sì, mi faccio di nuovo. Ma lui no: anzi vuole che io passi al metadone, vedi che bravo ragazzo?!“. Solo a quel punto Deborah ebbe una brevissima conversazione con Sid che, dopo scarni convenevoli, venne al dunque: “Le ho comprato un paio di scarpe, signora. Ci manderebbe dei soldi che così ci sistemiamo?“.

Nancy e Sid provarono anche una coabitazione – difficile – con Anne Beverley, e il ritorno nel giro punk londinese, che li esponeva però a continui episodi di violenza (come quell’assalto dei Teddy Boys da cui Nancy uscì con il corpo pieno di contusioni, il naso rotto e un orecchio ricucito alla testa quasi per miracolo) e agli ennesimi turbolenti traslochi da un hotel all’altro (con sinistre disavventure annesse: come quella, molto chiacchierata, in cui il direttore dell’albergo di turno li sorprese in camera, in un letto sporco di sangue, con lui seminudo e coperto di tagli e un barattolo di psicofarmaci, aperto, ben in vista).

Nel frattempo la carriera dei Sex Pistols andava a rotoli e a Sid non restava che provare a intraprendere quella solista. “Questa volta gli faccio io da manager, mamma. Veniamo negli States per il suo tour, e lo presento a tutta la famiglia!” aveva annunciato Nancy, sempre telefonicamente, a Deborah. Quello che non aveva precisato – e che la madre comunque “sapeva” – era però che entrambi erano irreparabilmente dipendenti da oppiacei. Deborah anni dopo avrebbe ricordato con profondo sgomento il ricongiungimento con la figlia in una stazione del New Jersey: “Non ero preparata a quanto si fosse sciupata, anche se l’avevo vista in tv. Sembrava una vittima dell’Olocausto. Era molto dimagrita. La sua pelle aveva sfumature bluastre. Aveva occhiaie profonde e cerchi neri attorno agli occhi. I suoi capelli erano biondo platino e lungo la radice c’erano lividi giallognoli, croste e piaghe. Indossava una giacca di pelle nera con sotto una t shirt sporca, jeans neri aderenti e tacchi a spillo. […] Sembrava un morto vivente. Dietro di lei compariva Sid, in agguato. […] era alto almeno 20 cm più di lei, e i suoi capelli sparati troneggiavano sulla sua testa. Anche lui era pallido e di una magrezza paurosa. […] Frank e io stavamo lì a bocca aperta. E non eravamo i soli. Tutti, davvero tutti, stavano lì a guardarli.Deborah e Frank Spungen li invitarono a pranzo da loro, insieme con i due fratelli minori di Nancy: e mentre osservavano perplessi l’idolatria quasi materna della figlia verso il fidanzato (di abitudine imboccato da lei, che nel mentre ne tesseva le lodi), e il loro tenero abbracciarsi davanti ai cartoni animati (!), si interrogavano circa la consistenza del loro progetto: prendere una stanza al Chelsea Hotel, fare successo, riprendersi in una clinica di disintossicazione. Qualche giorno dopo, mentre Frank li riportava in stazione, Nancy sussurrò, dal sedile posteriore dell’auto: “Morirò molto presto, prima del mio ventunesimo compleanno. Non invecchierò mai. Non voglio diventare brutta e vecchia. Mi sento già vecchia, comunque, come se avessi ottant’anni. Ho già vissuto un’intera vita e voglio andarmene con una fiammata.”

Comunque, come già detto, all’appartamento del Chelsea Hotel Sid e Nancy ci arrivarono. Al successo no. E il grande via vai che caratterizzava il loro alloggio non era di fan: ma di tossicomani e spacciatori. Anche i loro vicini di stanza punk, Cathy O’Rourke e Leon Webster, non vedevano di buon occhio le loro crisi di astinenza e la loro fissa per le armi da taglio, a maggior ragione quando – sempre più spesso – Sid e Nancy litigavano. La sera dell’11 ottobre del 1978 qualcuno aveva visto Nancy appartarsi in strada con un uomo, forse l’aspirante attore Rockets Redglare. Il tipo, dalla carriera artistica inconsistente, era in realtà molto noto nella zona per la più remunerativa attività di spacciatore. Sempre a corto di soldi, da tempo orbitava intorno alla coppia di celebrities, in parte per rifornirli e in parte, molto più probabilmente, sperando di ottenere un qualche ulteriore guadagno (forse aveva saputo del “gruzzoletto” recentemente guadagnato da Sid). Comunque, poche ore dopo, Rockets sarebbe stato tra gli ospiti di Sid e Nancy. Secondo Alan G. Parker, nel suo Vicious: too fast to live (2004), Rockets si sarebbe congedato molto più tardi degli altri amici musicisti: servito a Sid un cocktail quasi letale di eroina e dilaudid, avrebbe atteso che perdesse conoscenza per sottrargli i 25.000 dollari e farla franca. Ma forse Nancy, per quanto sotto effetto di sostanze, aveva capito tutto e gli aveva opposto resistenza.

La polizia venne chiamata, al mattino presto, dai vicini, allertati dai gemiti di sofferenza di una donna. O, secondo la versione più accreditata, dallo stesso Sid, tornato cosciente (seppur non ancora sobrio) e incapace di spiegarsi la collocazione della fidanzata: riversa sotto il lavandino, in biancheria intima e in una pozza di sangue. Subito arrestato con l’accusa di omicidio – supportata dalle impronte digitali rinvenute sull’arma del delitto, vale a dire il coltello a serramanico che abitualmente teneva nell’alloggio – Sid inizialmente si autoaccusò, per poi ritrattare non appena venne meno l’effetto degli stupefacenti. Venne poi rilasciato tre mesi dopo dietro cauzione (pagata dalla casa discografica), e comunque senza un movente a supporto dell’accusa di omicidio “non premeditato”. Tra l’uscita di Redglare dall’albergo (circa le 4:00 di mattina, secondo il portiere, o molto dopo le 4:30, secondo Steve Cincotti, spacciatore “di fiducia” della coppia che si stava recando da loro per rifornirli di Tuinal) e il risveglio di Sid (9:30 circa) resta ancora oggi un buco orario, in cui avviene la lenta morte di Nancy per dissanguamento (e il suo presunto trascinamento dal letto, dove ha ricevuto la pugnalata allo stomaco, a sotto il lavandino), impossibile da ricostruire anche per la mancanza di testimoni. O meglio: se volessimo prendere in considerazione l’ipotesi della sua innocenza, Sid sarebbe forse potuto essere l’unico in grado di ritirare in ballo lo spacciatore: tuttavia lui stesso morì, il successivo 2 febbraio, per una dose straordinariamente pura di eroina. Anche sulla morte di Sid aleggia il mistero: i fan accusano l’incauta signora Beverley, che a sua volta sarebbe morta di overdose qualche tempo dopo. Ma la Beverley, per quel che poteva valere la sua testimonianza (i suoi precedenti la mettevano, effettivamente, in una posizione indifendibile), non aveva dubbi: la dose letale era stata passata a Sid da Redglare. E a riprova dell’innocenza del figlio (che nel frattempo aveva cercato consolazione, a quanto pare inutilmente, tra le braccia di tale Michelle Robinson) esibiva un foglio su cui lui aveva scritto, poco prima di morire: “NANCY/ You were my little baby girl/ And I knew all your fears/ Such joy to hold you in my arms/ And kiss away your tears/ But now you’re gone/ There’s only pain/ And nothing I can do/ And I don’t want to live this life/ If I can’t live for you.

L’omicidio di Nancy, ad oggi, non ha un colpevole. Quanto alla signora Anne, secondo molti riuscì a portare a compimento le ultime volontà del figlio, e cioè il ricongiungimento finale delle spoglie di Nancy, sepolta nella massima riservatezza per volere della famiglia Spungen (che accusava il fidanzato di ripetute violenze verso la figlia), con le ceneri di Sid, che lei avrebbe introdotto furtivamente nel cimitero ebraico di Filadelfia, scavalcandone il cancello nottetempo, per spargerle sulla tomba di lei, coperta di neve.

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